C’è un sottile filo rosso che attraverso la famiglia Cattaneo da quattro generazioni: è il mestiere dei casari, l’attività dell’allevamento che oggi Alfio Cattaneo porta avanti nell’omonima azienda agricola di Branzi.
“Io ho cominciato appena finito la terza media, quando avevo quattordici anni: mio papà aveva l’azienda con una decina di vacche – ricorda Alfio -. Quando sono tornato dal militare mi sono intestato l’attività: oggi ho 47 anni e in azienda abbiamo una sessantina di mucche, circa venti capre e cento pecore. Abbiamo un po’ di tutto, trasformiamo i nostri prodotti e li vendiamo nel nostro spaccio. Lavoriamo in azienda io, mia moglie e mio nipote da 10 anni. Andiamo in alpeggio per circa cento giorni, prendendo anche animali in affido da altri”.
Burro, tomini, stracchino… i Cattaneo spaziano su ogni varietà di formaggio e non solo. “Qua a fondo valle, a Branzi, facciamo una ventina di prodotti, come il Formai de mut rosso DOP, in alpeggio facciamo anche un bitto e siamo parte di quel consorzio. Abbiamo un punto vendita anche a Foppolo, aperto durante l’estate. Già mio papà andava in alpeggio, le mie figlie sono la quarta generazione di casari, nel tempo libero mi danno una mano, una ha 17 anni ma è stata in alpeggio per tutta l’estate” una tradizione che prosegue da decenni. “Si andava in alpeggio già con mio nonno, io poi ho ritirato altri pascoli in affitto. Allora si mungeva a mano, io ho imparato con quello, ma oggi è tutto meccanico, poi si manda il latte alla cisterna e, da lì, in lavorazione: si fa in giornata”.
Il lavoro è tanto, il tempo per riposare è poco e Alfio lo fa capire benissimo: “L’anno scorso, per la prima volta, ho visto il mare: ho staccato tre giorni, ma giustamente perché avevo personale di cui fidarmi. Trovare persone è difficile: se non nasci in questo lavoro, non puoi dire subito di essere in grado” . I sacrifici sono innumerevoli: “Si comincia alle 5 del mattino e si finisce sempre al buio. Innanzitutto, devi avere la passione, e poi una moglie accanto che condivide la tua scelta. Io ne vado fiero, ci siamo conosciuti a 20 anni: ora abbiamo tre figlie, ma nel frattempo lei non è sempre riuscita a strami vicina”. Una situazione che Alfio e Simona hanno trasformato in un’opportunità: “Abbiamo pensato di aprire un negozio, in cui lei avrebbe lavorato mentre cresceva i bambini. Sono 16 anni che abbiamo lo spaccio, ma avrei voluto farlo prima: il 70% di quel che produciamo lo vendiamo lì. Ovviamente, non si vive solo di passione, serve anche un ritorno economico”.
La passione serve anche per insegnare ai giovani un mestiere tanto affascinante quanto duro: “Io cerco di insegnare ai ragazzi che vengono come apprendisti, mi piace quando imparano ma mi dispiace perché forse uno su dieci andrà avanti, in questo lavoro ci sono molti investimenti da fare” e a complicare il tutto ci pensa la giungla della burocrazia. “Non è tanto il lavoro fisico in sé stesso” spiega Alfio “perché ci sono le macchine che aiutano. La parte burocratica è tantissima, se non hai qualcuno che ti segue sei finito: mia moglie si fa due ore al giorno davanti al computer e se salti un passaggio rallenti molto l’andamento di tutta l’attività”.
Il lavoro di coppia, dice Alfio, è fondamentale e, forse, anche il successo del matrimonio. “Io se tornassi indietro rifarei questo, perché le soddisfazioni sono tantissime. All’inizio era la vita con gli animali, ora è la gente: sta tornando, ha fatto un passo indietro, c’è interesse nel comprare un formaggio fatto a mano. Ormai mi conoscono come ‘l’uomo del formaggio’ e questo ti ripaga, ogni persona che viene a Branzi o Foppolo e prende il formaggio, è come se comprasse un ricordo, un souvenir, si fa passaparola e la gente aumenta. Premia un modo di lavorare che si impara facendo, con le tue mani e da quello che ti ha lasciato il papà e il nonno prima di te”.