Il sogno della stragrande maggioranza dei ragazzini: diventare un calciatore professionista. Daniel Offredi l’ha realizzato nel ruolo forse più difficile, il portiere. Il classe ’88 originario di Strozza ci racconta la sua carriera tra la Valle Imagna, il Milan e il resto dello Stivale.
“Quando ero piccolo, in famiglia nessuno seguiva il calcio, mio papà era appassionato di moto, così andavo in minimoto a Berbenno. Quando tornavo, però, giocavo sempre a calcio, quindi lui mi ha fatto scegliere – racconta Offredi -. Ero piccolo e sono andato a giocare a Ponte San Pietro, avrò avuto 6 anni, troppi pochi per il Lemine, dove sono approdato in seguito”.
A portare Daniel lontano dalla Valle Imagna ci pensa il Milan. “A 11 sono passato nelle giovanili dei rossoneri: c’era un osservatore che visionava i ragazzi più promettenti, parlò con mio papà e mi fecero fare un provino a Linate”. È iniziata la trafila nel Milan. “Ero giovanissimo, ho fatto tutto il percorso fino a giocare due anni in primavera, intanto facevo il terzo portiere con la prima squadra. Ho fatto bellissime esperienze, soprattutto con Paloschi, siamo andati in ritiro con la prima squadra e c’erano Pirlo, Nesta…tantissimi campioni”.
La strada di Daniel lo porta lontano da Milanello: “Da lì sono andato in prestito alla Pro Sesto. Allora i giovani dovevano fare la gavetta in C1, oggi invece si punta subito su di loro. Il passo successivo è stato l’Albinoleffe, in Serie B. Mi sono trovato a giocare a livelli già alti, i punti alla domenica cominciavano a pesare. Ho avuto però poco spazio, ero reduce da un intervento. Così, ho giocato una decina di partite in prestito alla Reggiana. Nel frattempo, l’Albinoleffe è retrocesso in C e io ho firmato con l’Avellino. Era la prima esperienza lontano da casa, ho voluto provare, bisogna anche fare esperienze nuove”.
Su e giù per l’Italia, Offredi difende anche la porta del Bari e del Sudtirol, fino al presente alla Triestina. Tante squadre per tante città diverse, ma Offredi sa che qualcosa le accomuna tutte. “Basta poco perché una stagione non vada bene, lo spogliatoio per questo è fondamentale. Se si gioca bene, fuori dal campo è bello tutto, la città e l’ambiente ne risentono: dipende tanto dal lavoro e come va, il contorno si fa da sé. Se un anno va male, molti tifosi vanno contro alla squadra, non puoi andare a mangiare al ristorante perché ti insultano. La differenza la fa l’andamento della stagione, alla fine contano i risultati”.
È tutto ancora più vero se si considera il ruolo di Daniel in campo. “Il portiere è quello più preso di mira, anche se non sei in forma non ti sostituiscono, devi solo riuscire a dare il meglio di te. Il portiere è speciale, un nostro errore costa molto di più: è un ruolo che devi avere ‘dentro’, non so se sia una questione di carattere. Da piccolo ero alto, ma non correvo molto – ricorda Offredi – mi hanno messo in porta e da lì è iniziato tutto.”
Un “tutto”, come detto, iniziato dalla Valle Imagna, un luogo a cui il nostro numero 1 è ancora affezionato. “Io ho casa ad Almenno, la mia compagna avrebbe voluto stare più vicina a Bergamo, ma io mi sono opposto. Torniamo poco a casa, ma la sensazione di vedere le montagne dà tanto, quando si torna mi cambia l’umore. Passando in autostrada, magari per una trasferta, vedo la Roncola e la guardo e penso che quella è casa mia. Nel mio lavoro si gira molto, per fortuna lego molto con i compagni – spiega Daniele – non si può andare d’accordo con tutti, ma alcuni diventano amici e restano tali per tutta la vita”.
Una lunga carriera nel calcio professionistico porta naturalmente con sé una buona dose di ricordi. “Non ho mai vinto campionati, spero comunque di essere in tempo a vincere qualcosa, penso sia una gioia immensa che ripaga i sacrifici fatti. In ogni caso, mi ha fatto piacere giocare un’amichevole contro la Juve e parare un rigore a Dybala, quando mai mi ricapita? Stessa cosa con la Lazio ad Immobile, ma con Dybala si giocava con un Nereo Rocco pieno ed è stato davvero bello”.
Purtroppo, nell’ultimo anno e mezzo è mancato l’apporto del pubblico negli stadi. “Se un ragazzo soffre la pressione, senza pubblico rende meglio, chi ha bisogno di stimoli invece si carica di più con tante persone. Giocare con gli stadi vuoti non c’entra nulla col calcio, sembra di giocare per sé e devi trovare altri stimoli per dare il meglio. La Triestina punta a vincere il campionato e per noi contava molto il fattore campo, ora si è livellato tutto. Giocare ad Avellino con 10 mila persone, ad esempio, fa tremare un po’ le gambe. Il calcio è con i tifosi, anche per loro è diverso, il clima dello stadio è tutt’altra cosa rispetto alla Tv”.
Con o senza pubblico sugli spalti, Daniele sente di avere ancora da dare al mondo del pallone. “Ho 33 anni, detto così mi fa sentire vecchio anche se non lo sono, ho voglia di giocare. Quando sentirò che nella testa mi peserà scendere in campo, allora smetterò, ora non ci penso nemmeno. Quando finisce il divertimento dici basta, per fare le cose bene devi divertirti, se inizia a pesare come un lavoro non rendi, vuol dire che è finita. Io vado al campo prima per allenarmi e mi fermo dopo, non conta solo il fisico, è una questione mentale. Anche la lontananza da casa fa il suo”.
L’ultima chiosa è un ricordo per Davide Astori. “Mi ricordo che con lui facevo il viaggio in pulmino per allenarmi nelle giovanili del Milan, quando è venuto a mancare non ci volevo credere, lo conoscevo bene. È stata una botta, sono cose che aprono gli occhi, aiutano a rendere tutto più relativo. Pensi di essere più protetto perché abbiamo un sacco di controlli, invece non è così”.