Partire dal basso, arrivare ai massimi livelli e poi, per chiudere il cerchio, trasmettere la propria esperienza a chi viene dopo, i giovani agli inizi. La carriera di Pierluigi Orlandini, classe 1972 originario di San Pellegrino Terme e ora in Puglia dove ha aperto una sua scuola calcio, è un movimento circolare, che parte dalle partite con gli amici, da bambino, e prosegue, quarant’anni dopo, ancora con i ragazzini, questa volta come allenatore. In mezzo, tantissimo calcio.
Attenzione, però, perché negli anni molte cose sono cambiate. “Quando ho cominciato erano altri tempi” racconta Orlandini “si giocava all’oratorio, per strada, non esistevano le scuole calcio come adesso. Se ti piaceva giocare ed eri bravo, entravi nei Giovanissimi, solo alcune squadre avevano gli esordienti. Tutta la tecnica, i contrasti, li imparavi per strada: con gli amici, eravamo come una squadra senza allenatore. Ora mi rendo conto che i ragazzi giocano poco, dedicano poco tempo allo sport, questo ha penalizzato l’attuale generazione: noi ci concentravamo di più sul ritrovo con gli amici”.
Un approccio forse più leggero, quello di Orlandini, che lo ha portato poco per volta verso il calcio professionistico. “Ho iniziato col San Giovanni Bianco, negli esordienti, poi a 12 anni ho sostenuto un provino con l’Atalanta. Da lì ho fatto tutta la trafila del settore giovanile: ho avuto la fortuna di esordire a 18 anni. È stato un mix di emozioni incredibili, l’esordio nella mia città, con la squadra che ho sempre tifato, è un po’ il sogno di tutti i bimbi”. Un sogno – aggiungiamo noi – è anche il suo golden goal che ha fatto vincere l’Europeo 1994 alla Nazioanale Under 21 contro il Portogallo di due giovanissimi Rui Costa e Figo.
“Tutti i bambini iniziano con questa idea in testa” continua, “ma ora, secondo me, si creano troppe aspettative intorno ai ragazzi, si sentono di dover dimostrare chissà cosa. Chi gli sta intorno dovrebbe fargliela vivere in modo un po’ più sereno. Un giovane non ha la forza per tollerare queste pressioni. Io cerco di far capire questo ai genitori, chi è dotato poi andrà avanti. Non hanno un’età per sopportare il peso delle aspettative, è normale che in queste condizioni i ragazzi si stanchino e non vogliano più giocare”.
“Io sono soddisfatto di quella che è stata la mia carriera – confida Orlandini –, già realizzare quel sogno è bellissimo. Tanti dicono che avrei potuto fare di più: forse è vero, ma alla fine auguro a chiunque di fare quello che ho fatto io, arrivare ad alti livelli per me è grande motivo di soddisfazione. Penso a tutti quelli che hanno iniziato come me e si sono persi. I numeri sono drastici, la percentuale di chi ce la fa è bassa, non è facile. Molti danno per scontato tante cose, ma ci vuole lavoro, sacrificio. Mi dispiace per chi sta intorno al calcio e fa sembrare che per certi traguardi la strada sia facile, non è vero. Serve la voglia, l’impegno, l’abnegazione, non solo nel calcio, in ogni ambito è così. Non regala niente nessuno, ci si deve rimboccare le maniche”.
Un percorso impegnativo, certo, ma Orlandini sa che la motivazione è tutto per chi vuole arrivare in alto. “I “sacrifici” non pesano, ovviamente un ragazzo che vede i suoi amici andare a divertirsi soffre perché, magari, quel giorno ha un allenamento, ma se vuoi arrivare in alto non ti pesa, sei sereno perché sai che fai una cosa importante, lo fai volentieri. Prima di tutto bisogna crederci, se ti viene imposto di giocare diventa più difficile, diventa davvero un peso. Tentare una determinata carriera porta a delle rinunce, ad esempio l’alimentazione. Per questo è importante la famiglia dietro, che aiuta, supporta e richiama all’ordine. Ho visto tanti ragazzi che hanno preferito altre strade. I facili risultati non esistono, a meno di essere un grande talento”.
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È un punto importante, secondo l’ex calciatore: “Già realizzare un sogno ripaga tutto, non è così scontato, chi arriva nelle giovanili non deve sentirsi arrivato, puoi dire di esserlo quando hai finito la carriera, ci vuole costanza. Son cose che fai con piacere, ma le persone da fuori vedono il risultato, non sanno cosa c’è dietro e danno tutto per facile, non è facile dire a un ragazzino di 16 anni di andare a casa la sera presto. Devi trovare ragazzi predisposti e con un supporto dietro”.
Tutti principi che Orlandini cerca ora di trasmettere ai bambini che muovono i primi passi nel mondo del pallone. “Sono sempre stato affascinato dal calcio giovanile, volevo dare ai ragazzi la mia esperienza, il mio vissuto. Mi sono dovuto preparare come allenatore, ho dovuto studiare, sono contento perché lo faccio volentieri. Cerco di trasferire il mio percorso, non è facile perché si devono affrontare i genitori, alcuni vedono il figlio come un campione, l’unico bravo in mezzo agli altri.
Purtroppo – spiega – il mio ruolo richiede schiettezza, non voglio illudere chi ho davanti. Io cerco sempre di far giocare tutti, nel calcio ci sono le categorie apposta, nella mia scuola calcio, a Mesagne, in provincia di Brindisi, dove risiede ora, a me importa che il bambino migliori, da ogni punto di vista. Mica tutti diventano calciatori, si fa anche un lavoro sociale, dopo tre anni di scuola calcio la maggior parte dei genitori ha capito cosa vogliamo. Chi è restio a queste regole può cercare altro, o il progetto lo sposi in pieno, oppure è inutile. È un percorso educativo che si fa anche sui genitori”.
Priorità alla formazione della persona, prima ancora del calciatore, e al divertimento del bambino. “In più, sono due anni che lavoro per il Monza, mi occupo delle società affiliate, è un bel ruolo. Con la scuola calcio sono impegnato 24h, il calcio è sempre presente. Non mi pesa, mi piace farlo, quando fai ciò che ami è così. Posso girare per l’Italia, conoscere persone, nuove realtà e tanti ragazzi, è il mio mondo”.