Il ruolo del pioniere porta con sé difetti e svantaggi. Gli apripista affrontano inevitabilmente un grande numero di insidie, ma il loro percorso li porta ad avere conoscenze ed esperienze difficilmente replicabili da chi verrà dopo. Si applichi il tutto al mondo del calcio femminile valdimagnino e la figura che emerge è quella di Diletta Roncalli, 47 anni, di Rota d’Imagna: quando il calcio era solo roba per uomini, lei ha iniziato a cambiare le carte in tavola, approcciandosi al calcio da giovanissima.
Diletta non fa mistero di essere stata una mosca bianca: “Diciamo che, 25 anni fa, vedere una donna sui campi nel maschile era un po’ anomalo. Io sono nata col pallone sottobraccio, è uno sport che mi ha sempre attratta, ma all’epoca era difficilissimo per una bambina: non esistevano squadre femminili, dunque dovevo giocare coi maschi della mia età e non mancavo a una partita”. Il calcio era la sua passione, ma non c’era la possibilità concreta di farlo. “Da ragazza mi sono dedicata all’atletica perché, come ho detto, non c’erano squadre, ma preferivo fare partite a pallone. A 20 anni, un po’ per caso, è cambiato tutto: ero a Sant’ Omobono a giocare con il mio fratellino e mi è stato chiesto dall’allora responsabile del Valle Imagna, Togni, se volessi allenare una squadra di ragazzini. All’epoca era la classe ‘85, avevano 10-11 anni. Non sapevo assolutamente se fossi in grado o meno, ma mi hanno dato fiducia e da lì ho accolto la sfida a braccia aperte, era la prima esperienza di quel tipo”.
Ecco la svolta: non più in campo, Diletta trova il suo posto in panchina, a seguire i giovani calciatori. “Mi sono trovata in pieno, volevo renderlo il mio lavoro, ma servivano dei corsi per prepararmi per poter allenare. Ne ho seguiti diversi, prima con il CSI e poi il corso Uefa B, ho ottenuto quel patentino ma continuo ad aggiornarmi ancora oggi”. Alla fine, quel salto di tanti anni fa si è dimostrato la scelta giusta. “All’inizio sono restata in Valle Imagna, con pulcini ed esordienti, poi ho provato l’Atalanta femminile, ma devo dire che preferisco allenare i maschi: le ragazzine sono molto più ‘avanti’, ma ero più psicologa che allenatrice. Da lì ho trascorso cinque anni come responsabile anche a Cenate Sotto, poi mi è stato offerto un progetto a Longuelo, che l’anno scorso ha chiuso, un po’ anche per la pandemia. Lo scorso anno è stato un periodo intenso, si sono aperte tante opportunità. Ho accettato subito di andare a Paladina, perché nel loro progetto c’era di mettere insieme varie squadre, tra cui il Longuelo, dunque c’era continuità, ovviamente non con tutti”.
Eccoci al giorno d’oggi, dopo un percorso che ha portato Diletta in giro per i campi della bergamasca, di tutta Italia e persino Europa: quando allenava il Pontisola, l’allenatrice valdimagnina ha partecipato a tornei in Spagna (San Sebastián e Bilbao), in Ungheria, in Croazia. Camp con l’Albinoleffe ad Andalo e Malè in Trentino per diversi anni, Camp anche con il Milan ad Alassio e a La Spezia con il Pergocrema.
Nel frattempo, tante cose sono cambiate: “Sicuramente la situazione delle donne nel calcio ora è migliore, anche nel maschile si vedono tante figure femminili, soprattutto sull’attività di base, dove magari coi bambini lavorano meglio. A livello di società calcistiche femminile il parco è più ampio, anche a Bergamo, anche a 11. Spicca l’Orobica, che ha squadre dalle pulcine alla prima squadra; se oggi una bambina inizia, può andare avanti coi maschi fino a 12 anni e poi ci sono diverse realtà”. Il professionismo, invece, tarda ancora ad adeguarsi. Racconta Diletta che per ottenere il patentino B la Uefa riserva 2 posti su 40 alle donne: un numero troppo basso, che rischia di escludere tante potenziali allenatrici.
“Non siamo al livello professionismo di altre realtà europee e non solo, ma manca poco perché la Serie A femminile diventi professionistica. È un passo necessario, perché non si può lavorare e giocare ad alti livelli. Oggi ci sono anche più chance di arrivare in contesti più importanti, chi ha voglia e costanza può arrivare ad alti livelli. Io ho allenato Valentina Giacinti all’Atalanta femminile (oggi capitano del Milan Femminile e giocatrice della Nazionale femminile ndr), ma tante delle mie ex calciatrici giocano ad alti livelli. Le opportunità ci sono, rispetto a quando ero piccola io, le alternative sono di più, in Valle so che c’è a Selino Alto, una squadra a sette, per avere sbocchi più importanti non bisogna andare lontano. Mi sento di dire che oggi c’è più opportunità per le ragazze”.
Proprio a proposito della Valle, è recentemente nata l’Accademia Sport Imagna ASD, che riunisce sotto un’unica bandiera le varie realtà giovanili valdimagnine, dai primi calci fino agli under 17. Un progetto che Diletta si sente di promuovere appieno: “Io sono andata via dal Valle Imagna 8 anni fa, anche se seguo la situazione lì, del resto abito in Valle. Del progetto Accademia se ne era già parlato ma non si era mai riusciti a metterlo in atto, finalmente ce l’hanno fatta. Ben venga un progetto così. Il bacino è molto ampio e permette di avere ottimi numeri, speriamo che si vada avanti con successo e con un lungo percorso. I ragazzi della Valle Imagna meritano uno sbocco, ciascuno con la sua strada: l’importante è dare loro visibilità e non essere chiusi, fargli fare esperienze aiuta a dare loro il risalto che meritano. Non sono ostacolati dalla loro realtà, magari piccola, ma si esprimono dove magari ci sono più osservatori. Ovviamente, la dirigenza deve essere aperta da questo punto di vista, se uno ha le carte in regola deve avere la sua chance. È una realtà che ha ottimi numeri e buone qualità nelle loro categorie”.