Un museo a cielo aperto, completamente immerso nel paesaggio naturale dell’Alta Valle Brembana, che racconta di una guerra mai realmente giunta fino ai nostri monti ma ugualmente testimoniata dai resti di quelle trincee che componevano i 70 chilometri della celebre Frontiera Nord, conosciuta anche come “Linea Cadorna”. Questo pezzo di storia d’Italia si trova al Passo Verrobbio, 2026 metri di altitudine, facilmente raggiungibile dal Passo San Marco: qui si trovano i manufatti meglio conservati del tratto orobico.
Dalla Cantoniera di San Marco, uno dei più antichi rifugi delle Alpi risalente al 1593, si imbocca il sentiero 101 delle Orobie Occidentali. Dopodiché, all’incrocio, si prosegue per una mulattiera militare contrassegnata con il numero 161 che conduce al Passo Verrobbio. Poco prima di raggiungere il Passo, è presente una vecchia costruzione in sassi diroccata. Non una semplice baita, ma piuttosto una casermetta, costruita sul versante più protetto del passo.
Una volta raggiunto il valico, sembra quasi di fare un tuffo nel tempo di 100 anni: due tronchi di trincee in pietra accolgono i visitatori, sulla destra i camminamenti passano nella roccia e, attraverso una galleria, raggiungono una postazione d’artiglieria realizzata nella montagna. Qui vi sono due feritorie dove venivano posizionati i cannoni, orientati verso la vallata. A fianco un secondo, lungo camminamento che porta ad una grotta a fondo chiuso, probabilmente adibita a riparo o deposito.
Qui la grande Guerra non arrivò mai: non si udì mai un rombo di cannone, né colpi di cecchini, come invece stava avvenendo sul fronte Orientale. Su queste cime vennero istituite delle fortificazioni che, in ogni caso, non avrebbero resistito a nessun attacco, poiché fatte di muri a secco non rinforzati. Si credeva, infatti, che la Guerra non sarebbe mai arrivata in quei luoghi e così fu, ma per prudenza furono costruite ugualmente opere di difesa. La realizzazione è molto semplice e spartana, costruita principalmente per mezzo della manodopera locale.
La pietra proveniva dalle cave locali, che nel periodo fra il 1916 ed il 1917 operarono incessantemente per produrre i grandi quantitativi di materiale necessari. I resti della Linea Cadorna orobica, nel tempo, sono stati oggetto di una serie di interventi di recupero dapprima da parte di un gruppo di volontari nel 2002 e successivamente da parte della Comunità Montana Valle Brembana che, fra il 2007 ed il 2011, ha recuperato le strutture dei Passi Varrobbio, San Marco e Tartano, ripulendone l’interno dai sedimenti e ricollocando le pietre smosse.
La storia della Linea Cadorna – L’obiettivo di una fortificazione lungo tutte le Alpi era, chiaramente, quello di prevenire possibili invasioni da parte della Svizzera tedesca e dall’Austria, allora alleata della nemica Germania. Ufficialmente chiamata Sistema difensivo italiano alla Frontiera Nord verso la Svizzera, più tardi divenne in breve “Linea Cadorna”, per ricordare il generale che la aveva fortemente voluta Luigi Cadorna, Capo di stato Maggiore dell’Esercito. Le trincee costarono esosi finanziamenti, che ammonterebbero ad oggi a circa 150 milioni di euro: furono realizzati in totale 25mila mq fra bunker, gallerie, fortini e depositi, 70 chilometri di trincee, 88 appostamenti per l’artiglieria, circa 300 chilometri di strade militari e 400 chilometri di mulattiere.
Ad occuparsi della loro costruzione furono battaglioni della Milizia Territoriale, giovani non ancora arruolati e 20 mila fra muratori e scalpellini ormai non più in età di arruolamento, oltre che numerosi esentati dal richiamo alle armi. Uomini e donne, che lavorarono duramente per ergere delle difese in principio sofisticate con coperture di calcestruzzo armato e man mano diminuendo la qualità delle opere utilizzando materiali sempre più semplici e poveri, fino ad arrivare sulle nostre Orobie, dove le trincee sono realizzate in pietra con muri a secco.
Oggi, più di cent’anni dopo, rimangono i resti dell’eco di una Guerra mai giunta sulle nostre cime, ma non per questo meno importante. Le trincee del Passo Verrobbio sono la testimonianza dell’instancabile lavoro di una valle, di uomini, donne e ragazzi che hanno eretto con fatica quello che ai giorni nostri è diventato uno dei musei a cielo aperto più suggestivi di tutta la bergamasca.
(Fonte immagine in evidenza: Frank Giava | Youtube)