Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.16” a cura di Denis Pianetti.
Percorrendo alcuni sentieri dell’alta Valle Brembana accade di imbattersi in una particolare effigie della Beata Vergine il cui volto è contraddistinto da un insolito colore: il nero. Origini e cause di questa iconografia sono varie e in parte ancora misteriose, tuttora oggetto di dibattito tra gli studiosi; non lo è, invece, l’origine del culto, del quale cercheremo qui di approfondire anche le ragioni della sua diffusione in ambito vallare.
Com’è noto l’intera valle conserva una ricca e diversificata gamma di dipinti, prevalentemente di carattere sacro, che adornano le edicole votive e le pareti esterne delle vecchie abitazioni. In un suo scritto lo studioso Vittorio Polli aveva decantato l’anima religiosa dei frescanti ricordando come, lungo i secoli, essi “hanno continuato a muoversi nei meandri delle nostre valli e vallette, per mulattiere e passi, nei paesi sulle montagne, dove la pietà di qualcuno aveva costruito una piccola cappella o una modesta chiesa. Mentre la pittura dei grandi lombardi era un po’ pittura di corte e un po’ pittura religiosa, quella nostrana era tutta e solo religiosa. Era dunque lo specchio del tempo e il motivo di una civiltà, di un modo di vita e di una condizione sociale. In ogni paese, nelle chiese o sulle facciate delle case, esistevano pitture murali di soggetto religioso. Era un bisogno della gente, per la preghiera, per l’aiuto, per la speranza”.
La costruzione degli edifici sacri e la loro decorazione, quindi, sono stati essenzialmente un avvenimento di fede, prima che artistico, una realtà altamente significativa perché indice del sentire religioso di una comunità. Non di rado la santella o l’affresco erano corredati dal nome del committente che, fatta eseguire l’opera, ne lasciava in pegno ai discendenti la cura e la custodia, nonché la reiterazione del culto; talvolta, le immagini, erano accompagnate da iscrizioni che proponevano semplici giaculatorie, brevi orazioni, inviti rivolti ai passanti alla preghiera e alla meditazione sui misteri della fede e sulla brevità della vita. Committenti e frescanti, non intendevano far solo un’opera d’arte: il fine era di favorire nel popolo cristiano il senso del divino, la preghiera, il trasporto spirituale; l’arte, quindi, come veicolo e icona della fede di un popolo da una parte, e del divino dall’altra.
In genere i soggetti erano dettati da manifestazioni di pietà popolare e non erano legati all’ufficialità del culto, ma riconducibili alla spontanea iniziativa dei devoti. La cultura era la Biblia pauperum, narrata con figure per la povera gente che non sapeva leggere (spettava a chi si trovava di fronte all’opera saperne interpretare il messaggio spirituale). Così oltre alla vita di Gesù, c’erano le storie di Maria, degli Apostoli e dei Santi.
Le origini misteriose di un’antica devozione
L’iconografia di Maria, cioè il modo di rappresentare la figura della Madonna nell’arte sacra, raggiunse una forma stabile e ben definita dopo i primi secoli del Cristianesimo, al pari della figura di Gesù, ispirando successivamente artisti di tutti i tempi e di tutti i paesi. Ma come fu che nella vita delle comunità credenti, dei pellegrini, degli oranti vennero ad esistere le Madonne Nere? Per spiegare questo singolare fenomeno occorre risalire ai tempi più antichi; come si è detto, il valore simbolico dei loro volti scuri resta per lo più sconosciuto e misterioso anche ai più esperti in materia religiosa e antropologica, lasciando quindi spazio a diverse opzioni. Una delle interpretazioni più avventate lo fanno risalire al culto primigenio della Grande Madre, legato alla fertilità e ad una religione di tipo matriarcale. Sin dal XVI secolo studi eruditi ravvisarono nelle Madonne Nere reminiscenze di antiche divinità pagane, dalla Diana di Efeso alla dea Iside (con in braccio Horus), figure che per via della fusione “sincretica” con il cristianesimo avrebbero assunto in seguito il volto di Maria.
La tradizione attribuisce tuttavia la prima raffigurazione di una Madonna dal volto non eburneo a San Luca Evangelista, primo iconografo che dipinse la Vergine Maria: si tratta della Madonna Odigitria, o Odighitria, ovvero Maria con in braccio il Bambino Gesù che tiene in mano una pergamena arrotolata e che la Vergine indica con la mano destra (da qui l’origine dell’epiteto). Il colorito scuro della Madonna attribuita a San Luca rese possibile anche una diversa interpretazione: essendo il nero un colore che esprime dolore, simbolicamente non poteva che rappresentare una Madonna Addolorata (cfr. versetto 2, 35 del Vangelo di Luca “e a te stessa una spada trafiggerà l’anima”).
Il tema figurativo dell’icona di San Luca rappresentò, a partire dal V secolo, uno dei maggiori oggetti di culto a Costantinopoli (qui introdotta, dopo un pellegrinaggio in Terrasanta, da Santa
Elia Eudocia, moglie dell’imperatore Teodosio II), tanto che durante il periodo medievale si diffuse ampiamente all’interno delle correnti d’arte bizantine e russe; l’icona originaria andò perduta nel 1453, quando Costantinopoli cadde in mano agli ottomani. Secondo la leggenda fu il presule sardo sant’Eusebio di Vercelli, primo vescovo del Piemonte, esiliato in Cappadocia per le persecuzioni ariane, a portare in Italia nel 345 d.C. tre statue di madonne nere, tuttora venerate rispettivamente nei santuari di Oropa e di Crea, in Piemonte, e nella cattedrale di Cagliari. Alcuni studiosi, tuttavia, legarono l’elezione alla devozione cristiana di questi luoghi ad un preesistente culto celtico delle matres o matronae (divinità della Terra), al quale si sarebbe in seguito sovrapposto quello cristiano della Vergine Maria, grazie appunto all’azione pastorale di sant’Eusebio.
Qualunque ne sia stata la finalità evangelica o la giustificazione teologica, la diffusione in occidente di immagini di Madonne Nere è stata spesso associata a legami con l’Oriente. Lo stesso Eusebio sarebbe stato, ad esempio, uno dei primi testimoni del culto orientale dell’allora appena sorta iconografia relativa alla devozione nei confronti della Vergine Nera. Questo culto, in seguito, sembrò essere stato particolarmente intenso all’epoca delle crociate, sia perché diversi crociati portarono in patria icone orientali, sia per l’azione di alcuni ordini religiosi (carmelitani e francescani in primis, molto attivi anche in Terrasanta e in Siria) o cavallereschi (soprattutto quello dei Templari, che disponevano di proprie chiese nelle principali città europee, soprattutto in Francia, dove per l’appunto si può ritrovare il maggior numero di Madonne Nere).
La diffusione delle Madonne Nere in epoca medievale fu un po’ come il proliferare delle reliquie cristiane nelle chiese e nei santuari d’Europa. Fra le tante teorie in merito al colorito scuro vi fu anche quella dell’annerimento naturale dovuto al gran numero di candele votive acceso in loro onore; all’origine i volti e le mani delle Madonne e dei Bambini sarebbero stati rosati, riproducevano cioè un incarnato che si riteneva fosse quello normale. Talvolta, per evitare che il volto di Maria risultasse chiazzato dal fumo, si provvedeva a uniformare il colore scuro con il pennello. Non riuscendo a riportarlo all’incarnato chiaro originale, i fedeli – e questo è un dato costante in epoche e luoghi diversi – si erano abituati a vederlo nero, e non lo riconoscevano chiaro (anche perché, nel frattempo, l’immagine miracolosa era stata replicata, e le repliche erano ovviamente nere).
Avvenne nel XIII secolo in Catalogna, per la Madonna nera di Montserrat, che era stata ridipinta chiara, e ugualmente alla Madonna del Sacro Monte di Crea, tornata bianca dopo il restauro del 2000. In entrambi i casi, tuttavia, i fedeli pretesero che il volto e le mani tornassero al colore da loro riconosciuto, scuro, in quanto era l’immagine miracolosa a loro già nota. Un’ulteriore interpretazione ha inoltre visto per tempo – già in età medievale, nel volto oscuro di queste immagini mariane – un richiamo alla fanciulla del Cantico dei Cantici (Antico Testamento) e così l’ha proposto alla considerazione dei fedeli devoti. Nel periodo aureo dell’umanizzazione dei personaggi evangelici, quel XII secolo che fu dominio incontrastato della cultura monastica, Bernardo di Chiaravalle, e con lui il suo ordine, i cistercensi, avrebbero infatti contribuito a diffondere i tratti dolci e misericordiosi della sposa Nigra sum, sed formosa (“bruna sono, ma bella”, perché “bruciata dal sole”, “nera come le tende dei beduini”, Cantico dei Cantici 1,5-6) unendo i toni affettivi dei sentimenti e della tenerezza materna all’antica ieraticità che l’iconografia mariana bizantina aveva privilegiato. La predicazione di San Bernardo, dunque, potrebbe essere una delle cause della diffusione delle Madonne Nere.
Vi è infine un’altra tradizione, forse la più rilevante dal punto di vista storico e religioso, che documenta la diffusione in Occidente, e in particolare in Italia, delle Madonne Nere: è quella della Santa Casa di Loreto, casa dove visse la famiglia della Vergine Maria, “traghettata” miracolosamente dalla Terrasanta nelle Marche sul finire del XIII secolo. Al suo interno giace una statua della Vergine Nera (l’originale andò perduta nel 1921 durante un incendio), esposta con il suo ricco abito tradizionale, un caratteristico manto ingioiellato detto dalmatica. Il suo culto, così come quello della Santa Casa, è vivo in molte altre chiese di tutto il mondo, dove in alcuni casi è presente una replica fedele della costruzione conservata a Loreto. È appunto a quest’ultima tradizione che si lega la maggior parte delle riproduzioni mariane, dal volto bruno o nero, che si possono incontrare lungo i sentieri dell’alta valle Brembana, ad esempio, a Scasletto di Valtorta, a Isola di Fondra, lungo la mulattiera per Foppa, nel centro storico di Branzi, a Foppolo in frazione di Tegge, a Cugno di Santa Brigida.