Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.22” a cura di Sergio Fantini
Nei secoli precedenti, spostarsi, soprattutto in montagna, era alquanto faticoso e richiedeva molte energie. Nessuno si spostava per passeggiare, ma solo per lavoro. Ci si muoveva a piedi lungo sentieri impervi, cercando anche passaggi tra i rovi. Quando però occorreva portare materiale pesante, per esempio, per la costruzione di una casa, occorrevano animali da soma che trasportassero il necessario. Di solito venivano impiegati i muli. Di qui il nome di mulattiera che viene dato alle strade.
La mulattiera nasce come strada rurale a fondo naturale, di solito sterrata, ma anche, e non di rado, erbosa e sassosa. Col tempo però viene sistemata con pietre e lastroni per facilitare il passaggio dei muli. In apparenza risulta più agevole, ma non so quanto sia vero, perché con il succedersi delle stagioni e i continui passaggi, le pietre diventano lucide e scivolose. Naturalmente, man mano che sulla mulattiera aumenta il traffico, aumenta anche la sua importanza. Rappresenta, infatti, l’unica via di collegamento tra i diversi paesi. Sul suo percorso, e nelle immediate vicinanze, sorgono abitazioni, piccoli agglomerati che, naturalmente, devono essere collegati tra loro. I tracciati che li congiungono, si chiamano contrade.
C’è ancora una vecchia mulattiera. È quella che collega la Val Brembilla con la Val Taleggio. Fino al 1835 era solo un sentiero formatosi nel corso degli anni per il continuo passaggio di animali e persone. E, naturalmente, esistono ancora anche vecchie contrade. Come quella di Bura, anche se non è facile trovarla. Occorre percorrere, appunto, la vecchia mulattiera che collega Brembilla con la Val Taleggio. Si giunge così alla Forcella di Bura, appena sotto il confine tra le due valli. Lì, guardando il versante rivolto verso la Val Brembilla, si scorge la vecchia contrada adagiata sul pianoro di una conca soleggiata.
La contrada di Bura sorse inizialmente per collegare isolati casolari sparsi sul territorio verso il monte Sornadello. In seguito, si è concentrata sul pianoro, dove si trova tuttora. Per rifocillare i viaggiatori in transito furono aperte due osterie, rimaste attive fino alla fine della Seconda guerra mondiale. In seguito al censimento fatto dagli Austriaci, nel 1832 -1840, si sa che i residenti nella contrada erano 185. Per facilitare il passaggio di queste persone e con l’aumentare del traffico sulla mulattiera, l’amministrazione austriaca, allora dominante in Lombardia, ritenne necessario eseguire opere di ampiamento e consolidamento della stessa. I lavori, iniziati nel 1835 terminarono nel 1840, quando l’allora regnante era l’imperatore austriaco Ferdinando I. Così, in suo onore, la strada fu chiamata Ferdinandea.
Il mio bisnonno Giovanni Domenico abita a Peghera e, in uno di quegli anni, ha compiuto 13 anni. Lavora, fa il carrettiere tra Peghera e Bergamo. Una sera, quella sera, è l’imbrunire, e sta tornando. È ormai giunto in località Via Larga, però il mulo si mostra inquieto. Giovanni Domenico si guarda in giro. Non vede niente di strano, ma affretta il passo. L’animale, però, non è tranquillo, anzi, diventa sempre più nervoso. Ormai ha superato Bura e si è fatto buio. L’uomo, non sapendo più a che santo votarsi, accende il lume ad olio. Vede allora un grosso cane che al chiarore della lampada, scappa. Giovanni Domenico si rende conto immediatamente che l’animale visto, non è un cane, ma un lupo. Allora, per sicurezza, tiene il lume acceso fino a casa. Solo quando vi giunge, riesce a rendersi pienamente conto dell’enorme rischio da lui corso.
A motivo del grande spavento patito, che prova ancora, e che l’ha decisamente scombussolato, resta tre giorni rinchiuso nella mangiatoia della stalla, insieme agli animali e senza toccare cibo. Quaranta anni dopo, in seguito alla costruzione della strada carrozzabile, la mulattiera perderà molta della sua importanza. Viene però ancora utilizzata oltre che per il collegamento a piedi con la Val Taleggio, anche in occasione della transumanza. In primavera e in autunno, infatti, avviene ancora il passaggio delle mucche, tra i monti della Val Taleggio e la pianura. La contrada di Bura, si può dire divisa in due parti. Infatti la zona di Bura che porta alla Forcella e al monte Sornadello è pianeggiante e soleggiata, così si presta bene ad essere coltivata. Al contrario, la restante, quella verso Gerosa dove passa la strada carrozzabile, è impervia e scoscesa.
Sul suo percorso si trova la chiesa dedicata a San Rocco. Sul finire del 1500 il signorotto della contrada fece edificare la sua cappella funeraria. Ma su un documento che si trova nell’archivio parrocchiale di Gerosa, c’è una richiesta fatta dagli eredi del defunto. Domandano al vescovo il permesso di trasportare la salma e inumarla nella chiesa di Santa Maria in Muntanis, a Gerosa Non si sa il motivo di tale richiesta. E non si sa neppure perché e quando la cappella funeraria del signorotto sia diventata la chiesa di Bura, dedicata a san Rocco. Ma è successo proprio così. La cappella funeraria è diventata una chiesa.
Dietro l’altare si trova un grande quadro dove, al centro, è raffigurato San Rocco, patrono della contrada, mentre in basso a sinistra è rappresentato l’offerente. Fino al 1500 la famiglia più presente in Bura è un ramo della grande famiglia Pesenti predominante in tutta la Valle Brembilla. A Bura è rappresentata da Antony de Pesentibus. In seguito, con l’aumentare dei discendenti, per distinguere le nuove famiglie, si rende necessario dare il doppio cognome. Il primo a cui si aggiunge un secondo cognome, è un figlio di Antony, Battista. Viene usato il soprannome del patriarca Battista, detto “Barillus” poi italianizzato in Barili. Così, da quel momento la famiglia di Antony, si chiamerà Pesenti Barili. In quel periodo ci sono altre famiglie Pesenti presenti in Bura: sono i Rochi Pesenti Fachi, i Pesenti Facchinelli, la famiglia di Giacomo Pesenti Ricci, i Pesenti Barbettini. Rami familiari che, però, negli anni si sono estinti. Verso la metà del 1500 nella contrada troviamo due famiglie benestanti, quella di Jacobo Duca Codazzi e quella di Antony Garofoli Codazzi. La moglie di quest’ultimo, Maria Maddalena, per molti anni esercita la professione di ostetrica.
Queste famiglie, originarie di Peghera, sono proprietarie di parecchi appezzamenti di terreno. Hanno al loro servizio, camerieri, contadini, cavalcanti e altri ancora. Oggi, sebbene le due famiglie non siano più residenti a Bura, c’è ancora una località chiamata Codazzi. Un discendente della famiglia Garofoli Codazzi, Jò Maria, verso la metà del 1700 si trasferisce a Prato Aroldi dove un suo figlio, Giuseppe Costanzo, esercita la professione di notaio. Altra famiglia di Bura, proveniente da Peghera, ma con origini dalla città di Siena, è quella di Jacomo Senese de Offredi. Invece da Brembilla proviene Petrus Musitellis il capostipite delle famiglie tuttora residenti nella contrada. Verso la metà del ‘600 si ritrovano altre due famiglie, che però ora sono estinte. Sono quelle di Antony Crose e di Jò Tedesco, identificate come provenienti da terra tedesca.
Dato il periodo, si suppone che Antony e Jò siano stati due Lanzichenecchi. I quali, sulla via del ritorno in patria, avrebbero deciso di fermarsi in zona, trovando poi moglie a Bura. Nel 1800 a Bura, domina un’altra famiglia, quella dei Leidi. Il padre, un ex garibaldino di Bergamo, acquista a Bura beni appartenenti alla Chiesa e messi all’asta dallo Stato con la legge Rattazzi. Dopo qualche anno dall’arrivo della famiglia Leidi, avviene una carestia. È causata dal maltempo che quell’anno non ha permesso alcun raccolto. Il Leidi capofamiglia sfrutta la situazione di fame estrema dei proprietari e acquista quasi tutta la contrada, perfino la Chiesa, dietro un magro compenso, solo qualche sacco di farina. Alla morte del patriarca però, i due figli vendono tutti i beni e si trasferiscono in America. L’ultima cosa da loro venduta prima della partenza sono le due campane della chiesa. Adesso nella contrada dimorano circa 20 residenti.
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Bellissima storia quella dell contrada Bura