Don Bruno Vitari, 75 anni, è un prete diocesano “Fidei Donum”, da 23 anni impegnato in missioni in Africa. Originario di Brumano, piccolo paese della Valle Imagna, celebra quest’anno i 51 anni di sacerdozio. La sua lunga e ricca storia sacerdotale ha inizio nel 1969, quando ha celebrato per 10 anni nella parrocchia di Barzio, in Val Sassina, prima di trasferirsi per 14 anni a Bonacina di Lecco. Ma in lui già aveva iniziato a germogliare il seme della missione, e così decide di partire per la grande e sconosciuta Africa raggiungendo Pitoa, un piccolo e povero centro abitato nel nord del Camerun, dove è rimasto per 10 anni.
“Lì le temperature sono molto alte, a volte toccavano i 47° – racconta don Bruno – Sono molto legato al Centro Orientamento Educativo di Barzio, dove ho trascorso i primi anni di sacerdozio. Lì c’era un prete diocesano, responsabile dell’Ufficio Missionario, che mi ha convinto nella mia decisione di partire definitivamente per l’Africa”. Nel piccolo centro di Pitoa, don Bruno ha contribuito alla costruzione della casa parrocchiale, di due chiese e di un piccolo dispensario per le ragazze del paese.
Dopo dieci anni torna in Italia e viene assegnato alla diocesi di Capriano e Fornaci, in Brianza. Qui vi resta per 4 anni, ma la voglia di tornare in Africa è troppo forte: così don Bruno chiede di tornare e questa volta viene assegnato a Foumbot, nell’ovest del Camerun, dove resta per 4 anni, ristrutturando la casa parrocchiale e dando una mano al dispensario. Infine viene trasferito a Bertoua, una cittadina di modeste dimensioni fra le più importanti nell’est del Camerun dove è rimasto in pianta stabile per 9 anni, fino ad oggi.
“Sono parroco in una parrocchia di cinquemila anime e sono vicario della diocesi, che esiste da 37 anni e dunque abbastanza giovane. In totale ci sono circa 50 parrocchie, con 250mila Cristiani – racconta don Bruno – La permanenza in Africa è un desiderio mio: sono entrato a 10 anni in seminario e mi ricordo che da ragazzino leggevo ‘Sangue su La Gazelle’, un libro che raccontava la vita di un missionario morto martire, che mi ha toccato profondamente. Penso che da lì sia stato piantato quel seme che poi mi ha portato ad intraprendere la vita da missionario”.
A Bertoua, don Bruno si è dedicato alla costruzione dell’Ospedale “La Provvidenza” nella periferia di Yaounde, la Capitale. Un edificio grande e moderno di 5 mila metri quadrati disposto su due piani, che servirà una popolazione di 200 mila abitanti. “Purtroppo procediamo lentamente – spiega don Bruno – Entro la fine di quest’anno auspichiamo di aprire il piano terra, in modo da dare il via a qualche attività. In questa zona c’era particolare bisogno di una struttura del genere, a causa della totale assenza di struttura sanitarie. Questo è il grande progetto a cui mi sono dedicato”.
Anche in Camerun, da qualche tempo, si è affacciata la minaccia Covid-19. “Qui siamo ancora in quella che in Italia è stata la “fase 1” – spiega don Bruno – Dove mi trovo io, ad oggi, ci sono una decina di morti e circa 200 malati. Noi parroci operiamo con tutte le riserve, dunque mascherina, disinfezione mani e distanziamento, e abbiamo aumentato le frequenza delle messe in modo da rendere possibile l’osservanza delle norme. Cerchiamo di affrontare la situazione con serenità, ma qui le persone tendono a non rispettare le regole, nonostante abbiano paura. La situazione è comunque molto delicata, siamo ancora in piena epidemia ed è un gran problema che sarà sempre in crescendo”.
Don Bruno, ormai, in Camerun si sente come a casa e lo racconta mentre mostra con orgoglio un piccolo giardino dove tiene un orto, delle caprette e altri animali da cortile: “Sono contento di essere missionario e di essere qui. Mi sono un po’ “africanizzato” – sorride, don Bruno – Ma ogni tanto mi concedo un risotto o la pastasciutta. Oggi non è facile che un giovane venga in missione: ora l’Africa fa paura, si temono il clima caldo e le malattie, come la malaria. Invece ora è diverso, vent’anni fa per telefonare con il cellulare dovevo salire sul tetto. Ora anche in foresta ti squilla il telefonino. Praticamente è la stessa vita che facevo in Italia, certo ti devi adattare. Soprattutto agli usi, i costumi e al cibo”.
Il suo cuore però è legato alla Valle Imagna e alla sua Brumano. “In estate forse tornerò in Italia per godermi del meritato riposo – conclude il parroco – Spesso mi manca la mia terra, ma la nostalgia è alleviata dalla presenza a dieci chilometri da qui di una parrocchia di Padri Sacramentini e una suora di origini bergamasche. Ogni tanto ci incontriamo per mangiare insieme ed è l’occasione buona per parlare bergamasco. Quando rientro ad agosto vado a fare le ferie a Brumano, a cui sono legato: d’estate aiuto volentieri il sacerdote del paese, celebrando io le messe. È il mio paese ed è il paese dei miei genitori: sono orgoglioso e onorato di essere bergamasco e di Brumano”. Sul suo rientro definitivo in Italia, don Bruno è incerto: “Il prossimo sarà il decimo anno, l’ultimo. Poi si vedrà: se la salute tiene, potrei anche continuare questo cammino”.