Matteo Salerno, a Londra da cameriere a ‘cacciatore di teste’

London calling, cantavano i Clash: la chiamata è arrivata fino a Palazzago e Matteo Salerno ha risposto presente. Così, un’avventura iniziata come un’esperienza di pochi mesi si è trasformata in una scelta di vita.
9 Agosto 2019

London calling, cantavano i Clash: la chiamata è arrivata fino a Palazzago e Matteo Salerno ha risposto presente. Così, un’avventura iniziata come un’esperienza di pochi mesi si è trasformata in una scelta di vita.

“In Italia ho iniziato a lavorare terminati gli studi superiori: ho fatto l’agente immobiliare per 7 anni, ma sentivo che c’era qualcosa che mancava. Sono venuto a Londra per provare, il mio inglese non era granché, ho iniziato dal basso, il classico cameriere nei ristoranti”. La città, racconta Matteo, lo ha rapito. “Ho deciso di trasferirmi per ragioni culturali: in Italia avevo un lavoro stabile, ma volevo vedere il mondo, uscire dalla mentalità, chiusa, tipica dei piccoli paesi. Desideravo conoscere nuove realtà, da ogni punto di vista, politico, culturale e religioso”.

Ecco allora la City, un mondo completamente diverso da qualsiasi cosa Matteo avesse mai visto. “Una grande differenza rispetto all’Italia è l’accettazione dell’altro, a nessuno importa che macchina guidi o come ti vesti, interessa molto di più la persona, il lato umano. Non si fa a gara per avere l’auto migliore, persone che guadagnano 7.000 sterline al mese hanno amici che lavorano nei pub, i rapporti non si basano sulle questioni economiche. C’è molta più mobilità. Io adesso ho amici da tutto il mondo, dall’Australia all’Europa del Nord”.

 

La fluidità è un tratto che emerge anche nell’ambito lavorativo. “Qui se sei sfortunato in un mese trovi lavoro, io sono un head hunter (“cacciatore di teste” ndr), recluto personale. Sono in questa azienda da due anni e mezzo e ho già ottenuto tre promozioni. Se ti dai da fare vieni premiato. Questa è la città delle opportunità, basta darsi da fare. Cambiare lavoro è normale”. 

La vita nella City, però, non è solo rose e fiori. “La città è un porto di mare, le persone cambiano costantemente, è facile venir messi da parte. Del mio nucleo originario di dieci amici ne è rimasto solo uno, gli altri si sono trasferiti, ora ad esempio è molto popolare Barcellona”.

La mancanza della terra natia si fa sentire soprattutto a tavola“Non esiste il concetto di socializzare a tavola, in Italia spesso le cene tra  amici durano ore, qui non è così. L’idea di aperitivo non c’è nemmeno, non vi è un momento in cui ci si ferma per parlare, per socializzare. È un tratto sociale, un gap che a mio avviso persiste tra culture del Nord e del Sud Europa”. Ma Matteo non pensa all’Italia“Scendo un paio di volte all’anno, però non mi manca, sto bene qui. Dovessi rientrare, non tornerei a Palazzago: in un paese così piccolo soffocherei. Se proprio, andrei a Milano, l’unica città davvero internazionale.” 

A proposito di internazionalità, la domanda sulla Brexit è obbligatoria. “In Regno Unito è stata avvertita come una catastrofe culturale, nessuno credeva che in un ambiente così aperto e tollerante il “Leave” potesse vincere. Fino alla sera prima del voto, non un inglese avrebbe scommesso sulla Brexit, credo che quella di Boris Johnson fosse più una provocazione. Ovviamente ora devono portare a termine il processo, ma per chi vive qui non cambia nulla.” 

 

 

 

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