Soltanto sette mesi fa l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo eseguiva il suo millesimo trapianto di cuore: un traguardo storico ed importante per un programma che, a 35 anni dal suo avvio in terra Bergamasca, continua a restituire la vita a chi soffre di gravi cardiopatie terminali non trattabili in altro modo. Ma cosa si cela dietro l’enorme e complessa macchina che dirige, effettua e segue in maniera ravvicinata i trapianti? A rispondere è il Dottor Carmelo Mammana, cardiologo di 54 anni che dal 1998 al 2005 ha prestato attivamente servizio nello staff della gestione trapianti di cuore per l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Il Dottor Mammana ha frequentato l’Università di Medicina e Chirurgia all’Università di Catania, conseguendo la laurea in Medicina e Chirugia e nel 1997 ha conseguito anche la specializzazione in Cardiologia trascorrendo, inoltre, tredici mesi in Inghilterra alla London Medical School dove si è occupato di cardiopatia ischemica e microcircolazione cardiaca. Dopo aver vinto una borsa di studio della Società Europea di Cardiologia, che gli ha consentito di frequentare uno stage di formazione nell’ambito della cardiologia nucleare (ed in particolare scintigrafia miocardica), il Dottor Mammana dal 1998 presta servizio in Cardiologia a Bergamo.
“Contemporaneamente al mio arrivo a Bergamo – spiega il Cardiologo – è cominciata la mia collaborazione con AIDO. Dapprima la mia collaborazione con AIDO consisteva nel partecipare come ospite alle conferenze per dare la mia esperienza da medico, dopodiché sono stato coinvolto in questa avventura ricoprendo anche la carica di vicepresidente vicario della sezione provinciale per due mandati”. Nessun eroismo, ma una forte vocazione che si lega a doppio filo all’amore nei confronti del proprio lavoro. “È stato un impegno, quello dell’AIDO, per me quasi naturale e necessario – prosegue Mammana – Di fatto, il fattore limitante dei trapianti sono sempre stati i donatori. Perciò se tu credi, dal punto di vista medico, in quello che fai, è tuo compito anche promuovere la consapevolezza sanitaria che passa in primo luogo dalla testimonianza”.
La macchina operativa che dirige i trapianti di cuore è al contempo delicata ed estremamente complessa. Esistono due staff medici, che interagiscono fra loro: quello chirurgico, che si occupa di eseguire fisicamente il prelievo ed il trapianto dell’organo, e quello medico – di cui faceva parte il Dottor Mammana – che invece gestisce l’individuazione dei riceventi ed il percorso post-operatorio. Il trapianto di cuore è un intervento che viene svolto in urgenza: quando c’è un candidato donatore, i suoi dati vengono trasmessi al centro di riferimento interregionale dove avviene il match fra donatore e potenziale ricevente. Nel momento in cui il centro a cui il paziente ricevente fa riferimento riceve la comunicazione, si attiva tutta la macchina che porterà al trapianto. Ciò significa, in parole semplici, avvertire il paziente e svolgere gli accertamenti necessari, mentre un’altra equipe si occuperà del prelievo dell’organo.
“Quando ricevi la chiamata, la tua vita cambia – racconta il Dottor Mammana – Il cuore è il motore della vita, il trapianto non modifica soltanto la qualità della vita, ma la cambia radicalmente”. Una volta che il trapianto viene eseguito, il paziente ricevente dovrà essere controllato dai medici fino al termine della sua vita, con visite frequenti perché dovrà assumere regolarmente la terapia immunosoppressiva che serve – fra le altre cose – a ridurre le possibilità di rigetto. “Il post-trapianto deve essere controllato e gestito da un’equipe specializzata che si occupa anche di tutta una serie di problematiche connesse alla vita normale del paziente” spiega Mammana.
La maggior parte dei trapiantati di cuore hanno un recupero funzionale pressoché totale: l’operazione, infatti, restituisce al paziente una vita assolutamente normale, sotto tutti i punti di vista, sebbene l’aspettativa di vita non sia allineata al resto della popolazione. Bergamo, inoltre, è uno dei pochissimi centri in Italia che risponde anche all’esigenza di trapianti in età neonatale e pediatrica. Ed è proprio in questo scenario che il miracolo della donazione si compie nel suo aspetto più bello e straordinario. “Abbiamo avuto giovani donne trapiantate di cuore in età pediatrica che divenute adulte, sono andate incontro a gravidanze senza complicazioni, in alcuni casi anche con parti gemellari – racconta Mammana – Un miracolo nel miracolo. Questo più di ogni altra cosa dà l’idea di cosa significhi “normalità” di vita in un paziente trapiantato”.
Operazioni di questo genere non sono, ovviamente, escluse da complicanze e difficoltà. In particolare la macchina dei trapianti, proprio per via della sua complessità, ha una probabilità molto alta di incorrere in problematiche estremamente complesse. Una efficiente coordinazione è fondamentale in una situazione in cui “tutto può essere”: qualsiasi cosa, dalla più banale come una gomma forata, rischia di compromettere il delicato equilibrio che gestisce le equipe al lavoro, svelando l’immagine di una complessità che nella realtà è estremamente maggiore.
“Per come l’ho vissuta io, non c’è una sensazione generica di soddisfazione – conclude Mammana – perché spesso ti vengono in mente tutta una serie di insuccessi che avresti voluto evitare. Per questo motivo quando vedo questi pazienti riprendere in mano la loro vita normale, fatta di quotidianità, richieste e piccoli momenti, l’unico pensiero che mi balena in mente è: non mi aspettavo altro, questo è ciò per cui ho studiato e lavorato duramente. Ti rendi conto che la vita è veramente degna di essere vissuta, che il trapianto è una possibilità concreta di tornare a vivere e riscoprire che aspetto ha la normalità. Ed un medico, inevitabilmente, da questo trae la linfa per andare avanti”.