Il mandriano spergiuro e l’alpeggio della discordia in Valle Brembana

La leggenda del mandriano spergiuro ha molteplici versioni, con alcune leggere differenze fra loro, raccontate dagli anziani di Oltre il Colle, Serina e Roncobello.
8 Maggio 2020

La leggenda del mandriano spergiuro ha molteplici versioni, con alcune leggere differenze fra loro, raccontate dagli anziani di Oltre il Colle, Serina e Roncobello. In ognuna di queste località, il luogo preciso dove si svolge la vicenda è diverso: per quelli di Oltre il Colle sono i pascoli del monte di Zambla, per i Serinesi il monte Grem e per chi abita a Roncobello è il lago Branchino. Allo stesso modo, anche le origini del mandriano differiscono e secondo gli abitanti di Oltre il Colle proveniva infatti da Gorno, mentre secondo quelli di Serina si trattava di un tale di Sorisole e a Roncobello lo si credeva di Serina.

Era sorta in paese, lasciato volutamente generico per dare spazio a tutti e tre i Comuni di riconoscervisi, una disputa circa i diritti di un vasto alpeggio che secondo gli abitanti era di proprietà comunale e così a disposizione di tutti. Un vecchio mandriano, un forestiero giunto qualche anno prima, non la pensava però allo stesso modo: egli infatti vantava su quel pascolo diritti di proprietà, vantando un’eredità giunta a lui fin dai suoi avi.

Ovviamente, la sua arroganza non stava bene ai residenti, ma nonostante una serie di processi celebrati anche di fronte al vicario della valle, non si era riusciti ad appurare chi fosse il legittimo proprietario del terreno. Di conseguenza, il mandriano portava imperterrito ogni anno la propria mandria di animali, senza più ascoltare le lamentele dei compaesani, ormai sempre più insofferenti alla situazione che di anno in anno peggiorava fino ad arrivare a tremende risse fra loro e la famiglia del mandriano e chi parteggiava per lui.

Le autorità temevano che la situazione potesse degenerare ancora di più e un anno decisero di invitare in contendenti ad una solenne cerimonia pubblica di giuramento, nella speranza che la questione si risolvesse e che sarebbe emersa finalmente la verità. Una domenica mattina, a poche settimane dall’inizio ella stagione dell’alpeggio, le rispettive famiglie e la popolazione si radunarono attorno alla baita che si trovava nel pascolo “della discordia”. Lassù vi giunsero anche consoli e consiglieri del paese, il vicario di valle in qualità di giudice supremo e i rappresentanti del governo inviati dal podestà di Bergamo con un drappello di soldati.

Vi erano presenti anche il parroco del paese e uno canonico, inviato dal vescovo in persona e un notaio, che redigeva l’atto formale. Dopo la celebrazione della messa, attorno all’altare le autorità invitarono i credenti a giurare di fronte al crocefisso, ammonendoli sui castighi che il Signore avrebbe loro imposto se avessero mentito. Nessuno dei mandriani del paese ebbe però il coraggio di pronunciare il solenne giuramento che attestasse il loro diritto di proprietà. Il mandriano, d’altro canto, destò l’incredulità di tutti: egli infatti pronunciò a voce alta e sicura: “Giuro davanti a Dio che la terra che ho sotto i piedi appartiene a me e alla mia famiglia”.

La folla non si fece attendere e venne frenata a gran fatica dai soldati, mentre i compaesani gridavano allo spergiuro. Ma ormai la situazione poteva dirsi sancita e le autorità concordarono definitivamente che il pascolo fosse di proprietà del vecchio mandriano poiché il giuramento non dava motivo di dubbio. Peccato che l’uomo fosse anche furbo come una volpe e sotto consiglio della moglie, prima di recarsi al giuramento raccolse un po’ di terra dal proprio orto e la mise sotto i propri piedi: ecco così che pensava di aver raggirato perfino il Signore in persona, giurando una cosa che in effetti potesse essere vera.

Ma quando il “furbo” mandriano morì, l’inganno fu chiaro a tutti: Dio gli diede il castigo che meritava, costringendolo a divenire un’anima vagabonda che, in groppa ad un cavallo di fuoco, vagava per il pascolo nelle notti di temporale. E chi osava avvicinarsi, lo spirito del dannato mandriano urlava disperato: “Laghì sta i tèrmegn! La róba di óter la fa póca zuàda!”. Anche l’alpeggio subì una sorta di maledizione, poiché le mucche una volta su quei prati venivano prese da un’indicibile inquietudine e si rifiutavano di pascolare, emettendo muggiti di lamento e senza nemmeno dare un goccio di latte.

Le ripetute benedizioni dei parroci su quelle terre non ebbero alcun effetto su quell’anima dannata, che continuò per anni, decenni o addirittura secoli a tormentare chiunque le capitasse a tiro. Si dice che ancora oggi, durante alcune notti tempestose, si possano udire ancora su per la montagna dei terribili lamenti umani mischiati al rombo sordo dei tuoni, mentre dei guizzi di luce si fanno strada qua e là sulla enorme distesa.

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