La “dòna del zöch” (“donna del gioco”) è un personaggio ricorrente che ha caratterizzato per generazioni innumerevoli leggende della bergamasca, Valle Brembana e Imagna comprese. Il suo aspetto è stato modellato dal tempo, dai passaparola che i nostri avi tramandavano ai figli e ai figli dei figli e così via, ma una caratteristica comune permane in ogni versione: la “dòna del zöch” era un fantasma il cui diletto era prendersi gioco degli abitanti con burle e scherzi, trasformandosi in creatura gigantesca all'occorrenza.
Regina incontrastata della notte, si nascondeva fra le ombre delle aurore e dei crepuscoli; per alcuni si mostrava sotto vesti di contadina, mentre altri la descrivono come alta, dalla pelle quasi diafana con i capelli arruffati e vestita con lunghe gonne nere. Attorno alle spalle portava un lungo scialle a frange larghe e non era raro avvistarla accompagnata da quaranta cani bianchi o sette gatti, ognuno con un sonaglio.
Il suo nome pare derivare da un'alterazione del vocabolo bergamasco “löch” (luogo), mutato poi in “döch”, che significa sia “luogo” che “gioco”, secondo la parlata della bassa bergamasca. Da qui “zöch”, “gioco”: la “dòna del zöch” potrebbe dunque essere stata in origine non “la donna del gioco”, bensì “la donna del luogo”. Una spiegazione verosimile, dal momento che la protagonista di questa leggenda sembra apparire in molteplici luoghi della provincia.
A tal proposito, anche la Valle Brembana e la Valle Imagna non sono scampate agli scherzetti impertinenti del fantasma. Si dice infatti che a Zorzone, una frazione di Oltre Il Colle, un nottambulo che aveva alzato troppo il gomito si sentì improvvisamente rivolgere la domanda “Per chi éla la nòcc?” (“Per chi è la notte?”). Era lei, la dòna del zöch, che non attendeva altro che l'occasione giusta per burlarsi dell'uomo. Ma egli ebbe la freddezza di risponderle “Per me, per te, per chi che i va miga 'n tùren del dé!” (Per me, per te, per chi non va in giro di giorno!”). Al che, con un ghigno, la misteriosa creatura volò lontano, lasciando l'ubriaco – solo in quel momento accortosi del rischio appena corso – di sasso.
Una sorte peggiore capitò ad un uomo di Serina che stava tornando a casa alticcio alle prime luci dell'alba. La vide, bellissima, su un ponticello e non ci pensò due volte a catapultarsi nella sua direzione. Ma la donna iniziò a crescere, diventando via via sempre più grande fino a sparire lassù nel cielo e divenendo impalpabile, come aria. Lo sfortunato passante non poté fare altro che attraversare le sue gambe divaricate: terrorizzato, scappò allora via, mentre lo spettro deridendolo lo colpiva dall'alto con monete d'oro.
A Bedulita, invece, la signora apparve nella valle di Catoi, sul confine di Capizzone. Anche le lavandaie erano spesso prese di mira dalla spaventosa quanto bella figura: dispettosa, la si poteva incontrare alla fontana pubblica o in riva al torrente, dove le donne si trovavano per lavare i propri panni con i mastelli. Non era raro che venissero improvvisamente bagnate dalla testa ai piedi, il tutto accompagnato da risatine di scherno che echeggiavano nell'aria. E guai ad importunarla mentre si prendeva gioco degli altri: una volta, infatti, capitò che in preda alla rabbia tirò un calcio talmente forte ad un mastello che lo fece volare da Zorzone fino in fondo all'orrido della Val Parina.
A volte, era lei stessa a mostrarsi come una lavandaia. Una donna di Costa Serina, una notte, scorse ad un torrente una figura intenta a lavare una lunga gonna nera. Incerta se avvicinarsi o meno, la dòna del zöch le rivolse la fatidica domanda “Per chi éla la nòcc?”. La signora, però, non si fece trovare impreparata e prontamente le rispose “Per me, per te, per chi che i va miga 'n tùren del dé!”. A chi non conosceva la risposta, lanciava contro i panni che stava lavando con tale veemenza da far crollare i malcapitati a terra, tramortiti.
Era temuta da chiunque e la sua sola idea bastava a spaventare chiunque si trovasse fuori casa dopo l'imbrunire. Gli uomini non mancavano mai di recitare una preghiera per le anime al Purgatorio, prima di inoltrarsi nell'oscurità. Una donna particolare e tanto spaventosa quanto curiosa, nella sua natura burlona. In fondo, non fece mai davvero del male a nessuno e si dice che forse in quel suo atteggiamento di scherno si nascondesse una grande solitudine a cui era, da tempo, inevitabilmente condannata.
(Fonte immagine in evidenza: Sara Gregis)