Un tempo, in Valle Brembana, viveva una pastorella di nome Ghita. Era una ragazza graziosa, sia di aspetto che nei modi. Passava le sue giornate a portare le sue pecore al pascolo con un entusiasmo tale che era impossibile non venirne contagiati. La sua voce era simile a quella di un usignolo e non era raro udirla cantare soavemente mentre, accudendo le pecore, ricamava la sua dote sì modesta, ma ben curata grazie alle sue doti di ricamo ereditate dalla madre, una donna amorosa e sempre attenta ai sentimenti della figlia.
E proprio alla madre, Ghita un giorno confessò di essere da qualche tempo oggetto delle attenzioni di un giovane di paese, che aveva cominciato a corteggiare la ragazza dapprima chiedendole qualche lavoretto di cucito, come l'aggiustare qualche bottone sulla camicia: erano i primi passi di un dolcissimo amore fiorito nel cuore dell'uomo. I suoi sentimenti non erano però ricambiati dalla pastorella, ancora troppo giovane ed inesperta.
Così, dopo un lungo corteggiamento che sembrava non portare a nulla, il giovane si arrese e decise di non farsi mai più vedere convincendosi di non essere all'altezza della graziosa pastorella. Senza però dimenticarne mai il dolce ricordo. Gli anni passarono e Ghita divenne una donna bella, ora in cerca di un amore che potesse darle un futuro stabile e sereno. La Valle Brembana, in quel tempo, fu occupata dall'esercito della napoleonica Repubblica Cisalpina e numerosi soldati vi si stabilirono.
Uno di essi, durante uno dei pochi giorni di libertà, incontrò la bella pastorella. Vuoi il fascino della divisa, vuoi i modi garbati ed il portamento, Ghita si innamorò perdutamente del bel gendarme e cadde letteralmente fra le sue braccia, in preda al primo amore e alla fuggente passione. Lei lo aspettava ogni giorno nel bosco, divenuto il loro “nido d'amore”, incurante del gregge ma soprattutto ignara di ciò che la aspettava.
Un giorno, l'esercito dovette lasciare la valle e così anche il soldato se ne andò, senza nemmeno darle un ultimo saluto o una parola d'amore. La pastorella lo attese fino a sera nel bosco poi, tornata in paese, venne a sapere del trasferimento. Distrutta dall'intenso dolore e dalla delusione di essere stata soltanto usata, Ghita scappò dal paese e si rifugiò nei bui e deserti sentieri di montagna finché, in preda ad una disperazione esagerata, si lasciò cadere dal burrone.
Il destino decise di avere un occhio di riguardo per lei. Caso volle che, il mattino seguente, il suo primo giovane spasimante passò da quelle parti. Vista la ragazza in fondo alla scarpata, la recuperò e la portò in paese, dove fu curata. Nei giorni successivi, l'uomo andò spesso a far visita a Ghita, di cui era ancora profondamente innamorato. Ella gli confessò ciò che era successo: del gendarme e del trasferimento, senza neanche un saluto.
Così il giovane prese una decisione drastica: partire alla ricerca del soldato e vendicare la sua dolce amata. Per quattro anni vagò in ogni angolo d'Europa, giungendo su ogni campo di battaglia. Ma del gendarme non trovò più alcuna traccia. Deluso e sconsolato, fece ritorno in Valle Brembana. Ma ad attenderlo non c'erano di certo belle notizie: Ghita era morta parecchio tempo prima ed i suoi resti ora giacevano in un angolo del camposanto. All'uomo non restò altro che andare ogni giorno a portare freschi fiori di campo sulla tomba della donna. Sei mesi dopo, un'altra croce fu posta accanto a quella di Ghita: era il giovane, che non riuscì a sopportare il dolore di vivere senza il suo amore.
(Immagine in evidenza: Julien Dupré (1851-1910), Pastorella con capra , pecora e mucca)