Quella della caccia morta – conosciuta anche come caccia selvatica – è una leggenda molto popolare diffusa, oltre che in gran parte d’Europa, anche in numerose località della bergamasca. In alta Valle Brembana era solita essere raccontata specialmente nei piccoli Comuni di Ornica, Valtorta, Cusio e Santa Brigida, ambientata in particolare sulle pendici della Val d’inferno o del Salmurano.
Vi sono diverse versioni di questa leggenda. La più diffusa, specialmente in Europa Settentrionale, vede come protagonista un macabro corteo notturno di esseri sovrannaturali che cavalca il cielo intenti in una furiosa battuta di caccia. Quella raccontata nella bergamasca, invece, si discosta leggermente, forse frutto di passaparola del tempo. La leggenda narra che in certe ore della notte era possibile udire per le montagne dei cani che scorrazzavano in ogni dove, come impegnati in un inseguimento, abbaiando con furia al buio della notte e portando con sé voci d’inferno ed un forte stridor di catene.
Nessuno li aveva mai visti, ma i loro latrati erano sufficienti a terrorizzare chiunque avesse la sventura di sentirli. In realtà non si trattava di cani, ma di anime confinate di quei dannati, spesso cacciatori del paese, che in vita non avevano rispettato la messa, trascurando di parteciparvi. Come una perfetta legge del contrappasso dantesca, le anime dei dannati si erano fermate quaggiù, un girone infernale che le costringeva a vagare su e giù per i monti in un tormentato circolo, forse guidati dal Diavolo in persona.
Si narra di brutte avventure accadute a chi abbia osato intromettersi nella caccia. A Costa Serina pare che un viandante, imbattutosi in una di queste infernali orde, avesse cercato di richiamare i cani per far sì che si calmassero. Non l’avesse mai fatto: una volta tornato a casa, trovò appesa alla porta una gamba umana, una sorta di avvertimento di ciò che sarebbe accaduto. L’uomo, spaventato, si recò dal parroco del paese che gli consigliò di riportare quella notte stessa la gamba laddove la sua strada aveva incrociato quella della caccia selvatica, così che le anime potessero riprendersela.
In preda ad un terrore indicibile, il viandante obbedì riuscendo così a salvarsi, ma giurando a sé stesso che mai più avrebbe osato ficcare naso in una faccenda del genere. Anche a Valgoglio, paese della Valle Seriana al confine con l’alta Valle Brembana, accadde qualcosa di analogo. Una donna, osservando i dannati in preda alla furiosa caccia, ebbe il coraggio di chiedere loro “Portatemi un po’ della vostra selvaggina con cui potrei sfamare i miei bambini”. La donna fu immediatamente accontentata, ma non nel modo che si aspettava: il mattino seguente, infatti, anch’ella trovò appesa fuori dalla porta della sua baita una gamba umana.
Terrorizzata si rivolse al parroco, che le consigliò di restare in guarda e per quella notte di chiudersi bene in casa e di dormire stretta fra i suoi bambini. Questo suggerimento fu la sua salvezza. La “cagnara infernale”, infatti, tornò quella notte stessa e dall’oltretomba si alzarono dei lamenti e grida, forse di disappunto, rivolti proprio alla donna: “Buon per te che sei in mezzo all’innocenza – le gridarono le voci infernali – altrimenti l’avresti pagata cara per aver osato parlare alla cacciamorta!”.
(Fonte: Storie e leggende della Bergamasca di Wanda Taufer e Tarcisio Bottani)
(Immagine in evidenza: “Åsgårdsreien” del pittore norvegese Peter Nicolai Arbo, raffigurante la caccia selvaggia | 1872, Galleria nazionale di Oslo)