Testo scritto dalla studentessa Melissa Braka di 3AU dell’Istituto Superiore David Maria Turoldo di Zogno nell’ambito del progetto “La Voce Giovane! delle Valli” durante il periodo di alternanza scuola-lavoro presso la nostra redazione.
Anche in Val Brembana c’è stato un Robin Hood: Vincenzo Pacchiana, meglio conosciuto come Pacì Paciana e soprannominato “il padrone della Valle Brembana”. Per alcuni è stato un eroe che “ruba ai ricchi per dare ai poveri,” per altri, invece, è stato solamente un brigante. Un vero e proprio personaggio da romanzo, a metà strada fra storia e leggenda. Ma il personaggio è realmente esistito.
Il Pacì Paciana nacque a Poscante (oggi frazione di Zogno) nel 1773 e fu il proprietario di un’osteria frequentata soprattutto da farabutti. Mosè Torricella nel suo opuscoletto “Episodi della vita di Pacì Paciana, re della Valle Brembana” lo descrive come un ragazzo alto e magro, con le spalle larghe, dai folti capelli neri, una lunga barba e con un sguardo che “sembrava scrutare l’anima”. Il Paciana si vide costretto a recarsi da altre parti per lavorare perché il piccolo terreno che possedeva non fruttava abbastanza per vivere. Nei suoi scritti Torricella aggiunge che, in fondo, “il Paciana era un uomo come tanti altri, forte e ardito”.
Si narra che nel 1804, anno in cui iniziò a diffondersi la sua leggenda, Vincenzo diede ospitalità a due signori per ripararsi dalla tempesta. Loro però non ricambiarono il gentile gesto e, prima di partire, gli rubarono un orologio a lui molto caro. Sapendo dove erano diretti, decise così di inseguirli fino ad Antea, una località di San Pellegrino Terme. Raggiunti gli ospiti poco riconoscenti, il Paciana riuscì a persuadere uno dei due a rendergli l’orologio, ma a causa dell’intervento dell’altro il leggendario brigante lo stese a terra e se ne andò con il suo orologio. I due per vendicarsi lo accusarono di furto e aggressione ; successivamente il Paciana si dovette presentare davanti al giudice di San Giovanni Bianco. All’udienza il buon Pacì, accecato dalla rabbia, aggredì le due guardie e, dopo aver creato un fuggi fuggi generale, ne approfittò per scappare. Il giorno dopo, quando otto poliziotti si recarono a casa sua per portarlo in centrale, capì che era il momento di cambiare aria.
Il Pacì trascorse quindi un periodo a girovagare tra le montagne, vivendo tra stalle, pollai e grotte. Molti sono gli episodi che attribuiscono il titolo di brigante al Paciana, cominciando dall’aggressione in una casa a Grumello de Zanchi, che gli costò la sua prima pena. Uscito poi di prigione la polizia lo tenne costantemente sott’occhio, ma questo non lo fermò: inizia a minacciare una certa famiglia Mazzoleni di Zogno costringendola a pagare una somma di denaro pari a 600 lire; in caso di rifiuto la famiglia sarebbe andata incontro alla morte.
Pacchiana si dirisse all’estero per poi tornare tra i suoi monti presto. Numerosi sono gli scontri diretti, sparatorie comprese, che il Paciana ha con il commissario della polizia Salvi di Zogno, ma Pacchiana riesce a farla franca, agevolato anche dalla goffaggine dei suoi inseguitori. Allo stesso tempo era un protettore dei poveri, a modo suo. Una volta, ad esempio, rincorse e affrontò due disertori che avevano derubato un povero vecchio e li obbligò a restituire il mal tolto.
Famosa fra tutti è l’estorsione compiuta da un certo Bonetti di Zogno, il quale, si racconta, aveva cacciato da un suo podere moglie e marito che da anni lo avevano servito ma che non potevano più permettersi di pagare l’affitto, perciò il signor Bonetti lì aveva portati in tribunale. Il giorno dell’udienza, mentre il giudice stava giudicando la coppia (lo stesso che mesi prima aveva avuto a che fare con il Paciana), il bandito si presentò davanti alla Pretura di San Giovanni Bianco e minacciò il giudice di “abbrustolirlo vivo in casa” se, entro tre giorni, non se ne fosse andato. Poi scrisse allo stesso Bonetti e lo intimò di presentarsi con un certa somma di denaro da regalare ai due poveri, ma, tardando ad arrivare, il Paciana lo rapì costringendolo a sborsare del denaro ai due poveri sfrattati.
La sua leggenda di giustiziere si alimentò sempre più tra la gente della Valle Brembana e dintorni. Insieme alla leggenda si alimentò anche la rabbia delle forze dell’ordine e, soprattutto, del giudice, i quali iniziarono a dargli interrottamente la caccia. Scovato il suo nascondiglio a Bracca, presso un amico, il Paciana sparò ad un armigero. Sorpreso un’altra volta, nella sua abitazione ad Antea, fece deporre le armi a diversi sbirri e li intimò di andarsene al più presto. Ma ciò che gli abitanti della Val Brembana attribuiscono principalmente a Pacì Paciana quando lo sentono nominare è la fuga dai ponti di Sedrina.
Si dice che un giorno, passeggiando tranquillamente sul ponte, venne circondato da due squadre di sbirri: ”Finalmente si prendono anche le volpi vecchie” disse il capo ”Sì, ma non di questo pelo!” rispose spavaldamente il brigante. Subito dopo si lanciò a capofitto nel fiume dove riuscì, per l’ultima volta, a farla franca. Il Paciana capì che ormai la valle non era più il posto adatto a lui. Il leggendario antieroe partì diretto per Gravedona, in provincia di Como, e una notte, mentre dormiva, un suo compagno (di cui si fidava molto) lo uccise e consegno la sua testa alla polizia per riscuotere la relativa taglia.
La leggenda, tra storia e fantasia, non poteva trovare finale migliore. Oggi il Pacì Paciana è diventato un burattino, spesso presentato in compagnia dell’amico Giupì, e riscuote ancora una certa simpatia popolare (che sta agli spettatori decidere se è meritata oppure no).
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(Fonte: Leggende Bergamasche di Carlo Traini)