Letizia Maulà, in Olanda la clarinettista-attivista di Villa d’Almè: “Con la musica porto un messaggio sociale”

All’estero seguendo le note della propria musica, al suono di un clarinetto fino in Olanda. Letizia Maulà, 35 anni, ha fatto della musica la propria ragione di vita: non solo come virtuosismo, ma anche come canale per trasmettere un messaggio sociale
30 Dicembre 2024

All’estero seguendo le note della propria musica, al suono di un clarinetto fino in Olanda. Letizia Maulà, 35 anni, ha fatto della musica la propria ragione di vita: non solo come virtuosismo, ma anche come canale per trasmettere un messaggio sociale. “Sono di Villa d’Almè, nata e cresciuta lì, ho fatto le scuole superiori al Turoldo di Zogno, sarei geometra anche se non ho mai davvero praticato la professione: ce l’ho nel cuore essendo cresciuta nello studio tecnico di mio papà”.

Accanto alla scuola, Letizia ha già una grande passione dall’età di 11 anni. “La mattina avevo scuola e il pomeriggio andavo al conservatorio in Città Alta. Nel 2011, dopo il diploma di clarinetto, mi sono trasferita a Trento, dove sono stata ammessa al Biennio post diploma nella classe del Maestro Lorenzo Guzzoni. Sono emigrata in Olanda tre anni dopo”. Letizia sceglie subito la via che porta fuori confine. “Ho scelto questa nazione perché, nella musica classica, si segue un maestro di riferimento, dopo i miei studi a Trento ho dedicato un annetto per capire quale insegnante all’estero potesse piacermi per intraprendere questa avventura”.

La decisione matura in fretta: “Mi sono innamorata dei Paesi Bassi e della figura del Clarinetto piccolo dell’Orchestra del Concertgebouw, Arno Piters, che aveva la sua classe al Conservatorio di Amsterdam. Sono andata a conoscerlo, ho vinto l’audizione per studiare con lui nel programma di Master. Come tanti italiani e tante italiane della mia generazione, non abbiamo un concetto di ‘città fissa’, c’è un’idea di mobilità: per il mio lavoro di concertista vivo a Rotterdam, ma da settembre anche in Francia perché il mio compagno insegna clarinetto al conservatorio di Gap, nelle Alpi provenzali. Vengo molto spesso anche in Italia, il mio prossimo recital sarà una conferenza-concerto a gennaio insieme alla sociologa Eliana Como al teatro Redona di Bergamo dedicata a Charlotte Salomon: una pittrice ebrea vittima della Shoah”. 

L’estero ha dato a Letizia tante possibilità. “Sono stata un anno ad Amsterdam, poi sono entrata nell’Accademia dell’orchestra di Rotterdam, ho completato il master nel 2017 e non volevo studiare oltre, ma costruire qualcosa lì. Il mio sogno era fare musica da camera con colleghi nei Paesi Bassi: Rotterdam è il mio quartier generale che mi permette di esportare la mia musica”. La prima sensazione che si prova in Olanda è la libertà: “Tutto è possibile e nulla è dato per scontato. È una terra creata dagli uomini, grazie al loro lavoro, ci si sente indipendenti dalla natura e artefici del proprio destino, è normale crearsi la propria vita”. Non solo: “Da ragazza di provincia quale ero, e magari sono ancora, ricordo che fui molto colpita la prima volta che arrivai in Olanda, vedendo una coppia mista di persone anziane. Ne rimasi affascinata. A Rotterdam ci sono 200 nazionalità: la multiculturalità è un fattore molto presente”.

Essere clarinettista classica vuole dire molte cose: “La mia carriera consiste in fare concerti in compagini cameristiche ed orchestrali a livello europeo, con qualche eccezione annuale oltreoceano. Ho anche qualche studente privato a Rotterdam per la maggior parte adulti: non è mai troppo tardi per imparare a suonare uno strumento musicale! Li adoro anche perchè li trovo spesso ai miei concerti e mi sostengono con la loro presenza ed entusiasmo. Come ben si sa, il mondo culturale può essere molto precario. Visto che per me è importante avere l’indipendenza di una libera professionista, è importante avere un ruolo di leadership per avere più controllo proprio sulla precarietà che anche la musica classica porta con sé”. A proposito di indipendenza, Letizia spiega che “L’Italia è al top dal punto di vista accademico, ma per noi giovani in campo culturale non si può sperimentare, suonare in orchestre diverse, inventare nuovi programmi. Soprattutto all’inizio è impossibile fare esperienza, io l’ho vissuto: emigrare mi ha permesso di costruire un curriculum, in Italia si viene accolti solo quando si ha più esperienza. Vale a maggior ragione nella musica, che risente per prima dei momenti di crisi e non è la priorità. Il concetto di cultura italiana non si trova in Italia, ma all’estero, dove c’è molta più attenzione per le nostre opere e composizioni. Non mi arrendo però e continuo a cercare di contribuire attivamente per un cambio di rotta.”

A proposito di musica, tutta l’attività di Letizia ha un carattere fortemente sociale. “Io mi definisco una musicista democratica, perché cerco di portare anche messaggi sociali nelle mie esibizioni, in particolare sul femminismo e Memoria spiega Letizia. “Creo programmi dedicati a musiciste attiviste dimenticate poi dal sistema, sono presidente di Rete Donne Paesi Bassi, coordinamento donne italiane all’estero, e faccio parte di Soroptimist international, la storica organizzazione di empowerment femminile. In riferimento al mio impegno nella Memoria, faccio ricerca ed eseguo compositrici e compositori che furono attivi nella Resistenza europea e/o vittime della Shoah. L’anno prossimo ricadranno gli 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dal Giuramento di Mauthausen: la dichiarazione di unione dei popoli fatta dai prigionieri liberati dal campo, tra cui molti dei quali che partirono dal Binario 1 della stazione di Bergamo dopo gli scioperi del 1944 ”. Un impegno che ha senso “se ha un collegamento locale, io vorrei portare questi temi nella mia terra natia, mi fa sentire spesso più realizzata che suonare in una sala da concerto famosa”.

Un pensiero legato alla nuova identità della musica classica.”Stiamo cercando di ringiovanire il concerto classico, sfatando il mito del musicista-divinità che, anzi, porta a morire la musica stessa, rompendo quella barriera che a volte si crea con il pubblico, per rendere la musica più accessibile senza perdere qualità. Crediamo che sia l’unico modo per fare sopravvivere la musica: quando mi esibisco, non voglio arrivare, suonare e andarmene, senza dire nulla, mi fa sentire a disagio” racconta. “I programmi che creiamo sono importanti, hanno un senso e voglio che passi. Faccio anche lezioni-concerto in varie scuole superiori d’Italia, ad esempio basati sulla figura di Puccini, il quale come artista (come uomo sappiamo bene che era un uomo del suo tempo) metteva al centro delle proprie opere donne che denunciano abusi e ingiustizie: sono cose a cui non si presta attenzione, perché consideriamo l’arte in maniera statica e slegata dalla realtà. Il nostro linguaggio magari è “morto”, ma può essere ancora utile tutti i giorni per capire il presente e sperare in un futuro migliore per la nostra società tutta”.

letizia maula 2 - La Voce delle Valli

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