Matteo Ghisalberti, un reporter tra Parigi e la Val Brembana: “Ai miei figli insegno il bergamasco”

Le Alpi potranno anche essere un confine naturale piuttosto difficile da valicare, ma non possono fermare il senso di appartenenza di un bergamasco DOC nei confronti della propria terra, anche se trapiantato in Francia da quasi tre lustri.
28 Febbraio 2023

Le Alpi potranno anche essere un confine naturale piuttosto difficile da valicare, ma non possono fermare il senso di appartenenza di un bergamasco DOC nei confronti della propria terra, anche se trapiantato in Francia da quasi tre lustri.  È quanto è successo a Matteo Ghisalberti, giornalista zognese che Oltralpe ha anche trovato l’amore.

“Io lavoro tra Parigi e Orleans” spiega Matteo, che ci racconta la propria storia mentre è in treno, proprio per tornare nella capitale dopo una giornata di lavoro: “Ho 48 anni, ma mi sento ancora come se ne avessi venti! Sono originario di Zogno, ho abitato lì fino a quando sono andato all’università, poi sono partito, da Milano, New York e Roma, fino a Parigi, dove vivo da quasi 15 anni. Io ho studiato Giurisprudenza, poi mi sono trasferito e ho continuato a fare il giornalista. Ho iniziato con L’Eco di Bergamo, era un po’ il passaggio obbligato, è stata una bella scuola, ho imparato il mestiere. Non ho finito la laurea, non è un rimorso, senza nulla togliere agli studi, io sono stato un po’ obbligato per via delle circostanze”.

La carriera di Matteo nel mondo dell’informazione è comunque ottima: “A New York ho fatto un periodo di stage all’Ansa poi sono tornato in Europa, a Roma e a Milano: lavoravo per la sezione economia di Libero, Libero Mercato, poi sono venuto in Francia, da dove non mi sono mosso”. Oltralpe il nostro si occupa di tutti i tipi di media. “Io ho tre occupazioni: sono direttore di una radio cristiana nazionale, con base a Orleans, la RCF; sono presentatore di una trasmissione su Radio Montecarlo francese e sono collaboratore con le TV francesi quando trattano di Italia, e viceversa mi capita con l’Italia. Infine, sono collaboratore in Francia per la Verità. Sono attività molto intense, su piani diversi ovviamente. Scrivo più volte a settimana per la Verità, dunque con l’Italia ho contatti quotidiani e ovviamente con la mia famiglia e con gli amici”. In effetti, Matteo non ha mai abbandonato il contatto con le proprie origini, in questo senso il matrimonio è diventato terreno di incontro ideale tra due nazioni. “La storia con mia moglie è lunga – scherza – lei ha imparato benissimo l’italiano, quando lo parla le chiedono se è bergamasca o lombarda, ha preso molto l’accento delle nostre zone. Io sono diventato cittadino francese per matrimonio e lei è diventata cittadina italiana, ma i nostri figli sanno l’italiano e anche un po’ di bergamasco”.

La Francia è certamente vicina, eppure Matteo ha modo di analizzare differenze e similitudini con il proprio Paese. “La cosa più interessante è l’apertura al mondo, evidentemente a Parigi succedono molte cose, ma allo stesso tempo, soprattutto con gli anni, si vede che sono sempre più importanti i problemi di sicurezza, specie dagli attentati del 2015 c’è un po’ più senso di guardarsi le spalle. C’è stato anche il Covid che ha sparigliato le carte, diciamo che la grossa differenza è stata con le chiusure. Non sono state come in Italia, ha lasciato meno tracce, le scuole sono state aperte da dopo il primo lockdown, anche per i ristoranti è stato meno impattante, comunque i segni ci sono stati. Devo dire che c’è stato un tentativo di guardare avanti, anche in un momento così difficile”.

Dicevamo della famiglia, il vero ponte ideale che attraversa le Alpi. Matteo, infatti, si è assicurato che i propri figli, di 6 e 11 anni, mantenessero il contatto con le loro radici. “Sanno che le origini sono importanti, non smetto mai di ricordalo perché non potrei stare lontano da Bergamo se non avessi le mie radici che mi identificano, nella Valle. Ci tengo molto loro che conoscano le loro origini, conoscono Valle Brembana, io so che in fondo rimango brembano, bergamasco e italiano, pur integrando la mia nuova vita qui in Francia, poi ci sono cose belle e brutte da entrambi le parti, non esiste il posto perfetto, menomale direi”.

Con un legame ancora tanto forte a Zogno e alla Bergamasca, un ritorno non è da escludere. “Non voglio chiudere questa opzione perché rimango attaccato alla mia terra, poi magari se posso condividere qualche esperienza fatta all’estero e che può tornare utile alla Valle, sarei molto contento di poterlo fare. Se potessi avere la bacchetta magica, mi piacerebbe prendere il meglio di qui e il meglio di lì”.

Pregi e difetti delle proprie origini, alle quali non si può rinunciare: “In Valle c’è gente che non ha paura di lavorare, di fare fatica, se avesse dei buoni consigli capirebbe che vale molto e che può dare molto anche da altre parti del mondo. C’è una questione etica, nel bene e nel male noi bergamaschi abbiamo difetti come tutti, la nostra forma mentale è la concretezza, non siamo virtuali, questo ci impone di non buttarci ma ci permette di costruire cose più salde. Quello che è per me andava stretto era questo modo di vedere le cose, che finivano lì, già la Valle Imagna era lontana. Invece si può essere attaccati alla propria terra anche se vivi dall’altra parte del mondo.

Un legame che Matteo riporta alla luce ogni volta che può, comprese le situazioni più strane. “A volte mi trovo a pensare: come farebbe mio nonno? Oppure, a volte rispondo in bergamasco ai miei collaboratori, magari a giovani giornalisti gli dico saltà fò da la crisi! Un mio lavoratore ha imparato che se gli chiedo sa ghè? o alura? sa cosa voglio dire. I francesi sono molto brontoloni, e per prenderli in giro gli do dei ciapa mal e delle rogne, il bergamasco è un po’ universale!” scherza.

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