Michele Visini, un farmacista tra Almè ed il Nepal: “Ecco perché là mi sento a casa”

"...Un pezzo di te rimane qui, e puoi solo tornare ogni tanto per ricongiungerti ad esso!”. E così è stato per me 4 anni fa.
7 Giugno 2023

Nuovo numero della rubrica dedicata alla salute a cura della Farmacia Visini di Almè. In questa nuova puntata il dott. Michele Visini della Farmacia Visini di Almè racconterà la sua ultima esperienza in missione.

Ho scritto spesso a riguardo di questa parte della mia vita e della mia professione, una parentesi apertasi nel 2019 quando, per motivi personali, ho deciso di non tacitare la spinta che sentivo crescere dentro, a volte più forte, a volte meno, a volte lasciata libera di farsi sentire, più spesso soffocata per mille motivi (il più dei quali in realtà delle scuse per non lanciarsi in qualcosa di ignoto) verso una diversa via in cui poter svolgere il mio lavoro. In quel momento semplicemente mi sono detto: “e perché no?”.

E in quel momento, in quel novembre 2019, in quei pochissimi giorni nel villaggio di Bodgaun, la mia vita è cambiata. Non entrerò oggi nei dettagli del racconto delle circostanze per la quali mi sono trovato in quel villaggio del Nepal rurale, né delle esperienze concrete che dopo di allora (e dopo la parentesi forzata della pandemia) ho vissuto: ne ho scritto diverse volte e gli articoli relativi si possono trovare qui e là tra blog e sito internet della farmacia.

Posso solo scrivere qui, oggi, ciò che mi è capitato di dire nelle ultime due missioni (il mese scorso e in questi giorni – mentre scrivo sono sull’aereo che mi riporta a casa dal Nepal) a due persone che, per la prima volta, hanno partecipato attivamente alle attività di questi giorni vissuti nel villaggio, due figure sanitarie (un’infermiera, amica da molti anni, e una studentessa universitaria della facoltà di medicina di Tor Vergata a Roma, ateneo che sostiene il progetto sanitario a Bodgaun) che hanno messo la loro competenza, le loro energie ma soprattutto il loro cuore al servizio di questa gente: “Quando vieni qui, e ti lasci travolgere dai colori, dalle emozioni, dalle vibrazioni che ti colpiscono nel profondo dell’animo quando una sconosciuta ti saluta illuminandosi in un sorriso che dagli occhi arriva dritto al tuo cuore, un pezzo di te rimane qui, e puoi solo tornare ogni tanto per ricongiungerti ad esso!”…..e così è stato per me 4 anni fa.

Ma alla domanda “cosa vado là a fare?”, la risposta ora non può più essere solo questa, anche, certo, perché un pezzo di me è davvero là, e là io davvero ho la fortuna di poter dire di sentirmi a casa e di essere accolto ogni volta come il fratello che parte e ritorna! Anche… ma non solo! Se andare in missione e tornare a Bodgaun significasse andare a ricongiungermi con il pezzo di me rimasto là, il rischio sarebbe di stare facendo qualcosa PER ME, inteso come appagamento emotivo, che tocca dolcemente le corde del cuore: è ovvio che tutto questo c’è, perché realmente in Nepal mi sento a casa. Andare a fare il farmacista in missione PER ME potrebbe peraltro anche significare rincorrere un appagamento intellettuale e professionale personale nello riuscire di volta in volta a pianificare e realizzare attività che si traducano in un successo: infatti, grazie alla generosità delle tante persone che mi sostengono da quando ho iniziato questa avventura di “farmacista in missione”, ogni volta, con le donazioni raccolte, possiamo realizzare campi medici ed attività sanitarie che devono essere svolte con il massimo impegno possibile per far sì che portino il massimo apporto ad una popolazione che della propria salute non sa di doversi e potersi prendere cura.

Ma tutto questo non può e non deve essere solo un piacere… deve essere prima di tutto un dovere etico e morale, sia verso chi sostiene, sia verso chi riceve! Noi sanitari, noi volontari, siamo, io credo, i fortunati che possono tradurre in concreto gli slanci di umanità dei moltissimi che non se lo possono permettere ma che mettono, per quel che possono, il loro cuore al servizio di chi vive in uno di quelli che tante volte ho definito gli “altrove” del mondo.

Ora, dopo la sesta missione a Bodgaun, il mio coinvolgimento nel progetto è davvero profondo: mi onoro della fiducia delle persone che questo progetto lo hanno iniziato 8 anni fa, dopo il terremoto che nella primavera del 2015 ha devastato il Nepal; sono onorato di questa fiducia che intendo meritare e ricambiare mettendo in gioco le mie competenze, la passione e la voglia di provare davvero a cambiare le cose. Da un anno, la mia partecipazione al coordinamento e alla condivisione delle strategie di gestione della farmacia legata al centro medico (il Bodgaun Medical Center che a breve, a seguito della nuova collaborazione stretta con il governo nepalese, diventerà Bodgaun Primary Hospital) è cresciuta progressivamente sempre più: l’obiettivo, provare a portare dall’altra parte del mondo il bagaglio di esperienza accumulato nel corso della ormai più che ventennale carriera di farmacista.

Ma le cose possono cambiare a Bodgaun e nei villaggi limitrofi della provincia del Sindhupalchock? Prima ancora, ma siamo sicuri che queste persone vogliano davvero che noi andiamo fin laggiù per portare loro il nostro sapere? A volte mi trovo a riflettere su questo punto e non sono del tutto sicuro di quale sia la risposta migliore. Sicuramente, l’approccio migliore deve essere quello di calarsi nella loro realtà, assaporarla, comprenderla, conoscerne le dinamiche sotto ogni aspetto, perché non basta appartenere alla parte del mondo cosiddetta evoluta per pensare di andare fin laggiù e “predicare” come fossimo profeti. Ogni volta che torno a casa, portando con me un pezzo di questa terra e di questa cultura, provo a spiegare a chi non è mai stato in questi luoghi cosa significhi questo progetto e questa missione e mi accorgo che le parole non sono né mai saranno davvero sufficienti a far davvero capire cosa di volta in volta ci si trova ad affrontare.

Di solito, soprattutto quando parlo con personale sanitario, mi rendo conto che inevitabilmente l’interlocutore applica il proprio paradigma abituale e altrettanto inevitabilmente non capisce! Questi popoli non hanno ciò che noi abbiamo in termini di strumenti, di risorse, di mezzi, ma hanno una grandissima dignità e sarebbe davvero stupido non tenerne conto! Ecco perché a volte sembra che il nostro apporto non solo non sia considerato prezioso, ma addirittura sia vissuto come una ingerenza forzata; noi sappiamo che le cose da un punto di vista procedurale in ambito sanitario possono essere gestite in modo più produttivo, con un obiettivo di diffusione della cultura sanitaria, della consapevolezza e della conoscenza da parte della gente comune molto al di sopra di ciò che è allo stato attuale delle cose, ma sappiamo anche che la cultura locale, le procedure, i protocolli, le conoscenze DEVONO essere conosciute, comprese e interiorizzate, proponendo il nostro modello come una possibile via di implementazione e sviluppo, ma in punta di piedi e con il necessario rispetto.

Nel corso di questa ultima missione, siamo stati ospiti di un ospedale della municipalità, a Gaupalika, e abbiamo potuto apprendere come e dove i medici locali accolgono e curano i pazienti, quali siano le strutture e quali i protocolli ministeriali. E tutto sembra essere impeccabile e ben congeniato. E allora, cosa manca in questo Nepal del 2023? Mancano i pazienti! Il nostro centro è spessissimo vuoto e questo ospedale altrettanto. Ma come può essere possibile, se durante i campi medici arrivano centinaia di persone? Io credo che manchi la consapevolezza in mezzo alla gente che ci si può e deve curare, e che esistono segnali predittivi di malattie croniche, segnali che possano aiutare a capire che ci si può e deve rivolgere a centri medici. Manca questa conoscenza e consapevolezza dei sintomi e segnali predittivi, ma manca soprattutto un programma strutturato che porti in mezzo alla gente la cultura sanitaria, e manca, sicuramente, un piano organizzato per prendersi cura e carico dei pazienti affetti da patologie croniche.

Noi che veniamo da questa parte del mondo sappiamo che questo aspetto può realmente fare la differenza, perché anche qui da noi, decenni or sono, la situazione era molto simile a questa che ritrovo ogniqualvolta sbarco in questo mondo. Noi, che ora lavoriamo come sanitari in questo mondo occidentale, siamo assolutamente consapevoli di quanto sia importante “informare”, sviluppando programmi di prevenzione ed educazione… e lo stesso vogliamo provare a fare in Nepal! La missione non solo non è finita nel momento in cui ho lasciato Bodgaun e il Nepal, ma proseguirà fino a che non avremo raggiunto il risultato che mi sono prefissato: essere superfluo per questa popolazione, per questa gente, per chi lavora in mezzo a loro. Essere superfluo perché non ci sarà più nulla che io possa mettere a loro disposizione della mia esperienza e delle mie conoscenze, perché avranno “imparato a pescare” e il “pesce” saranno in grado di procurarselo, per sé e per tutta la gente che vive in questi meravigliosi posti, là dove davvero la “gente veste solo dei propri COLORI”… una ricchezza che noi, nel nostro mondo, forse abbiamo dimenticato e non sappiamo più apprezzare davvero.

Nel concreto, il nostro progetto è quello di creare una stretta cooperazione tra i diversi attori del sistema sanitario locale, sia nel villaggio di Bodgaun (staff del centro medico e farmacia), sia con i diversi Health post e i piccoli ospedali nelle vicinanze (col patrocinio e la collaborazione di alcuni di essi abbiamo realizzato campi medici in diversi villaggi del distretto del Sindhupalchock, da Bhimtar lo scorso anno, a Gaikharka e Bhotsipa in queste ultime due missioni): questa cooperazione è finalizzata a tradurre nel concreto quella visione di sanità che da noi viene spesso declamata (ma, ahimè, assai poco realizzata nel concreto), ovvero un unico sistema integrato (“ONE HEALTH”) che vuole prendersi cura dei pazienti come focus principale (“HUMAN CENTERED”), sia per le problematiche croniche, sia per gli eventi acuti: per fare questo, vogliamo implementare le visite domiciliari e gli screening sul territorio, in mezzo alle case e ai villaggi (i “FIELD VISIT”se i pazienti non vengono al centro, andremo noi da loro).

Parallelamente vogliamo sviluppare sempre più i programmi educazionali soprattutto nelle scuole, per dare alle generazioni future una consapevolezza di sé stessi e della loro salute che i loro genitori oggi non hanno. E’ un progetto ambizioso, che si scontra sia con le reticenze dei locali a cambiare le proprie abitudini in nome di una visione che per loro è sconosciuta, sia con i ritardi dovuti a carenze di strumenti e fondi, e sia perché tenere in piedi un progetto collaborando per la quasi totalità del tempo da remoto non è affatto semplice. E’ un progetto ambizioso, ma ne vale la pena! Perché vengo fin qui? Per donare un pochino di ciò che so fare, e prendere quel tanto di umano che ricevo ogni volta che ritrovo “casa” tra questi sassi, questi colori, questi profumi, questi sorrisi. NAMASTE’, NEPAL… IL MIO, IL NOSTRO LAVORO NON FINISCE QUI!

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Commenti:
  1. Sono più di 30 anni che lavoro in Himalaya prima come guida in spedizioni nei più importanti 8000. Poi mi son detto sono 20 anni che lavoro in Himalaya ma conosco solo le montagne e i loro campi base.
    Ho così deciso di cambiare le mie attività facendo volontariato, ho ricostruito una decina di scuole e una ventina di fontane in diversi villaggi della Aarun Valley e Kumbu Valley. L’acqua e l’istruzione sono sicuramente cose molto importanti in Nepal. Amici mi hanno fatto vedere l’articolo sul Corriere che parla dei vostri progetti, mi piacerebbe capire se in qualche modo posso dedicare la mia esperienza in qualcuno di essi. Il mio cellulare non sempre acceso 3357105256.
    Spero di sentirvi e magari trovarsi per scambiare le nostre esperienze e magari darvi una mano con la mia esperienza.

  2. Sono più di 40 anni che lavoro in Nepal, prima come guida alpina in spedizioni e trekking poi come costruttore della Piramide del CNR nella valle del Kumbu, dove sono diventato molto amico di Dechen Sherpa e con lei ho iniziato a fare progetti per il Nepal, acqua e scuole. Amici francesi hanno perso durante una spedizione al Makalu un membro del gruppo. Mi hanno contattato conoscendo la mia esperienza, per costruire una scuola in sua memoria nella valle.
    Abbiamo costruito una scuola a Seedowa (Valle del Arun) e questa esperienza mi ha fatto capire che la mia vita sarebbe cambiata, non più spedizioni ma scuole e acquedotti. Ne ho costruite tante scuole e tanti acquedotti. Acqua e istruzione sono due delle cose più importanti nel migliorare la vita dei villaggi spersi lontani dal turismo. Ho letto del vostro progetto e mi piacerebbe avere una conversazione per una eventuale collaborazione.
    Aspetto una vostra risposta

  3. Ho letto con interesse ciò che hai scritto e capisco come si rimane coinvolti emotivamente dalle persone e da questo posto meraviglioso.
    La prima volta ci sono stata nel 1982 e ci ho lasciato un pezzo di cuore.Sono tornata ancora ma con rammarico …vedendo con tristezza certi cambiamenti portati dal turismo irrispettoso.
    Ti saluto ti invidio molto e ti auguro di proseguire nel tuo progetto

  4. Vivo da trent anni in Nepal e conosco Bodgaun, che era il progetto dopo l’interventi per il terremoto.
    Che la clinica abbia poca gente non meraviglia…. e io mi sono allontanato da progetto quasi automatico. E pensare che avevo donato un milione di rupie (circa 8000 euri).
    Forse un ripensamento ai allor capi di Jay nepal non sarebbe guastato. Complimenti al autore della sua esperienza..

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