Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.22” a cura di Eleonora Arizzi.
Una dottoressa che ha fatto della propria professione una missione. Poteva avere un ruolo di prestigio in qualche noto ospedale nella metropoli milanese invece ha scelto la Valle Brembana. Si tratta di Mirella Capra, 81 anni, pediatra in Valle dal 1976 al 2015.
La porta di casa sempre aperta. Questa immagine riassume la vita di Mirella Capra, Di origini torinesi ma cresciuta a Milano, con il cuore in Uganda, vive in alta Valle da 47 anni e «mi sento parte di questa comunità che da subito mi ha accolto». Gente schietta e unita – secondo la dottoressa – che ha sempre trovato una porta aperta, concretamente: sia quando abitava alla frazione Costa di Averara, sia nella casa sulla via centrale di Piazza Brembana. Simbolo di disponibilità totale e accoglienza senza pregiudizi o timori, che non è scontato trovare nemmeno nei piccoli paesi di montagna dove tutti si conoscono.
Insieme al marito, anche lui medico, Gianluigi Rho, venuto a mancare del 2012, ha fondato ad agosto 1970, in Uganda, l’ospedale di Matany: un’esperienza che viene descritta nel libro “Non temete per noi. La nostra vita sarà meravigliosa (Mondadori, 2015)” di Mario Calabresi, giornalista e nipote della dottoressa. Si legge nell’intervista sui Quaderni Brembani: “Al rientro dall’esperienza in terra africana, il marito avrebbe potuto diventare un docente universitario e anche per lei sarebbe stato naturale trovarsi una dignitosa occupazione a Milano. Invece perché la scelta dell’alta Valle Brembana? Siamo venuti via dall’Africa per vivere con e non per le persone. Anche là avevamo la porta di casa sempre aperta, ma non c’era una concreta relazione con le persone, al di là del rapporto medico-paziente, e questo a lungo andare ci mancava tanto.
Mio suocero era nativo di Piazza Brembana, quindi Gigi, che era secondo di nove fratelli era conosciuti qui. Nel 1975 il sindaco di Piazza Brembana, Giacomo Calvi, ci inviò una lettera in Uganda per chiederci di venire in alta Valle dove mancavano i medici di famiglia e parecchi servizi. Insomma un appello che non ci lasciò indifferenti”.
Al rientro dall’Uganda, nel 1976, la coppia di medici con i loro 4 figli si stabilirono alla contrada Costa di Averara, in quanto lui aveva scelto di diventare medico di famiglia di quella condotta (Averara, Santa Brigida, Cusio e a volte anche di Valtorta).Contemporaneamente – si legge nell’articolo curato da Eleonora Arizzi – lei era diventata pediatra di vari consultori in tutta la zona da Olmo al Brembo in su. “Ogni mamma poteva incontrarmi nel proprio paese: capisci la bellezza di questi incontri? Ricordo che quando arrivavo, per esempio, a Ornica e Valtorta, anche in inverno con tanta neve, i bambini erano numerosi, giocavano in strada, e quando era il loro turno le mamme li chiamavano per la visita. Una volta uno era terrorizzato e urlava in bergamasco stretto che voleva andare a mungere, ma io il dialetto non lo capivo quindi ho continuato a visitarlo” dice sorridendo.
Nell’intervista la pediatra spiega come il suo fosse un lavoro di collaborazione e in rete, già negli anni Ottanta: con maestre (in quanto medico scolastico in età filtro da Foppolo a Sedrina), con infermiere e ostetriche, come Albertina (detta Adriana) Chiarion di Cassiglio, e con il pediatra dell’ospedale di San Giovanni Bianco Fabio Salvioni. L’intera intervista si trova sull’annuario Quaderni Brembani 2024 in vendita nelle edicole e cartolibrerie della Valle Brembana o richiedendolo al Centro Storico Culturale “Felice Riceputi” all’indirizzo centrostoricovallebrembana@gmail.com