Se esiste un simbolo dell’Italia nel mondo, allora questo deve essere la pizza. La specialità più internazionale di tutte viene copiata e reinventata ai quattro angoli del globo: Giuseppe Cortinovis, sanpellegrinese trapiantato in Canada, ha fatto della pizza la propria missione.
“Vengo da San Pellegrino Terme, ma ora abito a Vancouver. Ho lasciato l’Italia quattordici anni fa, oggi ne ho 43. Sono partito per fare un’esperienza nella ristorazione in Australia, ma poi sono rientrato. La mia famiglia ha un panificio a San Pellegrino”: il nostro si trova decisamente a suo agio tra acqua e farina “sono stato qualche mese lì, poi sentivo il desiderio di imparare qualcosa di nuovo: sono andato a Londra, dove ho lavorato per tre anni, poi sono volato a Vancouver, dove c’era una compagnia che mi ha offerto lo sponsor per rimanere in Canada”. Sembrava la soluzione ideale, ma non lo è per Giuseppe.
“Io non ero interessato a restare, volevo tornare a Londra dove avevo un business per vendere marmellate con un mio amico e allo stesso tempo lavoravo in un ristorante. Il titolare a Vancouver era egiziano, ho avuto un colloquio con lui. Lui mi chiamava “italiano” e diceva che l’Europa stava andando a rotoli, mi ha detto di restare per due anni”. La professione di Giuseppe è piuttosto particolare. “Lavoravo per loro per tutto quello che riguarda la panificazione nei loro nove ristoranti, sviluppavo un prodotto per fare in modo che nei vari punti del franchising le pizze avessero gli stessi ingredienti, impasto etc. Io gli dicevo sempre che non si poteva fare del tutto, perché è un prodotto artigianale, altri invece volevano prodotti meno buoni ma tutti uguali”. Un cambio di mentalità totale, non solo per quello che riguarda il cibo.
“Avevo un collega persiano che era diventato cittadino a Toronto, aveva vissuto mesi aspettando il visto a casa sua, mi ha fatto molto pensare. Alcune compagnie mi hanno cercato, magari con offerte più allettanti, ma a me serviva più stabilità: se avessi cambiato azienda, il processo del visto sarebbe ripartito. Glowbal, la compagnia per cui lavoravo, non operava nel modo in cui sono abituato io: non sono artigianali, con lo stile irripetibile del prodotto. Io ho provato a farlo capire, ma in una compagnia così grande è difficile cambiare: bisognava puntare sulla consistency, sul prodotto tutto uguale”. Quasi una produzione in serie: Giuseppe ha modo di apprezzare un modo diverso.
“Non è come da noi, il modo di lavorare non è amichevole come in un ristorante, qua in Canada sono più distaccati. Non è nemmeno facile per la lingua, a volte in Australia mi comportavo in modo scortese ma senza farlo apposta, solo perché non ero abituato. È stato molto educativo, anche perché mi ha fatto vedere il cibo in un modo diverso, in cui si elimina il fattore umano, il sentimento”. Bisognava puntare, spiega, a fare una pizza come l’insalata del supermercato: sempre uguale, giorno dopo giorno “perché, se il cliente vede è cambiata rispetto alla scorsa volta, non la vuole più. Lo stesso meccanismo andava applicato alla pizza, per fidelizzare chi viene al ristorante il prodotto deve avere lo stesso numero di olive in tutti i ristoranti della catena. Non è facile da fare, perché le persone nei diversi locali del franchise erano diverse e se qualcuno se ne andava bisognava insegnare tutto da capo: ogni ristorante aveva il suo metodo, alcuni non erano contenti che arrivassi io a insegnarli come fare una cosa che facevano da anni. C’era un executive chef che faceva la pizza con le mani e la metteva con le mani in forno, senza usare la pala: una cosa inguardabile” racconta scherzando.
Giuseppe è però sempre in cerca di opportunità diverse e il Canada è il posto perfetto. “La mia ragazza del tempo si era candidata per un posto al ristorante di un famoso chef inglese che si era trasferito qui. Lei è diventata manager, con un processo di 3 colloqui, si è preparata tantissimo. Io ho mandato una mail alle nove di mattina, chiedendo informazioni: mi hanno fissato un colloquio due ore dopo. Mi hanno preso subito, al primo colloquio”. Non è un caso, perché il nostro pizzaiolo è un fuoriclasse nel suo campo. “L’anno prima avevo partecipato al mondiale di pizzaioli a Las Vegas per la categoria International, eravamo una ventina di persone e mi ero piazzato bene. In Canada, al concorso nazionale, ero arrivato secondo e mi avevano pagato il volo per il Nevada. Lo stesso contest l’ho vinto un mese fa, dunque tornerò a Las Vegas a marzo 2024”. Lo stile di Giuseppe è diverso da quello diffuso oltreoceano: “Ai clienti facevo sempre vedere l’etichetta dell’acqua Sanpellegrino con il casinò sopra e dicevo che la mia casa era appena accanto: le persone erano sempre contente, ci sapevo fare con loro, qua magari hanno un atteggiamento diverso”.
Cinque anni fa, il nostro pizzaiolo decide di prendersi una pausa, viaggiando per l’Europa e tornando per un breve periodo in Italia. “Poi sono tornato in Canada. Una compagnia, Ignite, cercava consultazione per creare una nuova linea di pizza. Era molto interessante, ho iniziato con loro spiegandogli la panificazione, gli ho aperto un mondo anche se erano già esperti: quando lavoravo per loro ho vinto il Canadian Pizza of the year del 2019, la gente era letteralmente in fila davanti al locale per fare una foto con me, ma il locale non era mio”. Un leitmotiv nel suo racconto, perché Vancouver non è del tutto una terra dorata. “È il problema qui, rispetto all’Italia i costi per aprire una pizzeria sono altissimi, gli affitti sono alle stelle e il rischio è troppo alto. L’80% dei ristoranti a Vancouver fallisce entro un anno: il business è molto difficile”. Ecco perché Giuseppe decide di dedicarsi principalmente alle consulenze.
“Italian Foodtech, una compagnia di attrezzatura per pizzeria a Toronto, aveva aperto una scuola per pizzaioli, sono andato a vedere i loro corsi e ho iniziato come mastro pizzaiolo a Montreal” racconta “una volta all’anno facevo queste lezioni per cui mi pagavano il volo fino al Québec, in un Istituto alberghiero che era un hotel e ristorante aperto al pubblico e gestito da professori e insegnanti”. Stare in cattedra, per così dire, è un’attività vincente. “Ho deciso di fare corsi di pizza qui a Vancouver, in collaborazione con il Centro culturale italiano, tre ore di corso alla sera. Mi sono buttato in questo mondo, ma i corsi erano live e con la pandemia hanno bloccato tutto purtroppo”. Uno stravolgimento non da poco, che Giuseppe cerca di trasformare in un’opportunità.
“Ho considerato di aprire il mio business, anche con la mia nuova fidanzata giapponese: volevamo trasformare il suo negozio in un ristorante, ma era un edificio protetto e non potevo mettere canne fumarie a costi contenuti. Mi sono ripromesso che nel 2023 aprirò un locale, sto cercando ancora la location giusta: mi sono comprato un forno da Napoli, il primo di quel genere arrivato in Canada attraverso un amico bresciano che fa questo lavoro”. Giuseppe è un vero vulcano di idee. “Da quest’anno, allora, faccio corsi di pizza gestiti da me e decido io cosa fare: la risposta è buona. Insegno a degli chef che poi andranno a insegnare ai ragazzini nelle scuole. Ma ho già un’altra idea, una base di pizza conservabile per mesi sviluppata con un amico torinese che vive qua, puntiamo a chi vuole farsi la pizza in casa: stiamo testando la preparazione e tra un mese dovremmo essere pronti al commercio”.
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Un vulcano in azione da un punto all’altro del globo. Complimenti per aver saputo affrontare tutti quei cambiamenti continui con fusi orari di tante ore.
Complimenti con tanti auguri per il futuro.