Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.2” a cura del “Gruppo Sentieri amici della storia” di Brembilla e testo di Cristian Pellegrini.
Le vicende che riguardano il castello di Cornalba, dalla costruzione fino alle molte distruzioni, si collocano nel contesto delle lotte tra guelfi e ghibellini, che si scontrarono aspramente in Val Brembana e in tutta la provincia in particolare nella seconda metà del Trecento. La divisione tra guelfi e ghibellini aveva avuto origine in Germania già nel 1140, durante la guerra che vide opposti il duca di Svevia e quello di Sassonia. Questa differenziazione si espanse anche in Italia e durò fino a tutto il Quattrocento. Essere ghibellini significava parteggiare per l’imperatore di Germania, che oltre a detenere il potere temporale, voleva anche la guida spirituale delle comunità a lui sottoposte; essere guelfi invece voleva dire essere dalla parte del Papa e sostenerne così sia il dominio spirituale, sia le mire di potere terreno, molto forti all’epoca anche da parte del clero.
Questa divisione ideologica si ripercuoteva in quasi tutta Europa e si affiancava alle lotte già in corso tra i vari stati. In Italia la presenza del Papa rendeva ancor più accentuate queste contese; qui i vari stati e le famiglie più importanti si dividevano alleandosi col Papa o con l’Imperatore a seconda delle convenienze. Nella realtà della nostra provincia, durante la seconda metà del Trecento, la separazione tra guelfi e ghibellini non era così netta; più che di una scelta ideologica verso il Papa o l’Imperatore, si trattava di faide familiari o alleanze trasversali che erano utilizzate per contendersi il potere e i favori dei Visconti milanesi, padroni della bergamasca.
In Val Brembana centro di simpatie spiccatamente guelfe erano San Giovanni Bianco e i paesi limitrofi, come la parte alta di Zogno, Poscante, Endenna, Camerata, Ponteranica e Sorisole; erano invece ghibelline la parte bassa di Zogno, Stabello, Sedrina, Villa d’Almè e Brembilla. Quando si parla del comune di Brembilla, bisogna anche ricordare che l’estensione del suo territorio era ben diversa rispetto ad oggi. La giurisdizione di Brembilla comprendeva infatti un’area molto vasta che includeva gli attuali comuni di Brembilla, Gerosa, Blello, ed anche Ubiale Clanezzo, Berbenno, Strozza e Capizzone.
In una simile situazione di lotte tra paesi anche confinanti, l’autorità centrale poteva ben poco per sedare gli animi. Anzi i duchi viscontei, signori di Bergamo, passavano da sentimenti fortemente ghibellini, e quindi ostili alle famiglie e ai paesi guelfi, a momenti di tolleranza e di tentata riappacificazione. Il dominio visconteo a Bergamo iniziò nel 1315 con Matteo Visconti, al quale fu offerta la città dai ghibellini bergamaschi. Il suo successore Azzone tentò di mettere pace tra le fazioni in tutto il territorio della provincia amministrando in modo equo e pacifico. Alla sua morte gli successe lo zio Giovanni a cui seguì il nipote Barnabò.
Il dominio di quest’ultimo accentuò moltissimo le lotte tra le fazioni, anche perché Barnabò diede carta bianca e l’impunità ai ghibellini nelle loro vendette contro i guelfi, dando ai primi la libertà di uccidere qualunque guelfo e di bruciargli la casa. A Barnabò succedette Gian Galeazzo che fu assai più liberale, ma anche con questa condotta non riuscì a calmare gli animi e a far cessare le vendette dei guelfi, oppressi dal regime precedente. La morte improvvisa di Gian Galeazzo Visconti, il 3 settembre 1402, segnò una svolta importante nel corso della storia delle nostre valli. Infatti il successore Giovanni Maria, debole e politicamente incerto, affidandosi a condottieri infidi, permise che i vasti domini dello stato di Milano venissero sgretolati nel breve volgere di pochi anni e finissero in gran parte nelle mani di Venezia che poteva garantire maggiore tranquillità e sicurezza interna.
Le vicende storiche del “Castello di Cornalba”
Negli anni che vanno dal 1354 al 1407 la Val Brembana fu teatro di numerosi scontri ed episodi di guerriglia tra paesi e famiglie dell’una e dell’altra parte. In particolare la cronaca dei fatti dal 1378 al 1407 è ben descritta nel diario “Chronicon Bergomense guelpho-ghibellinum” di Castello Castelli, notaio originario di S. Gallo, testimone oculare dei fatti di quegli anni. Grazie a questo documento e alla “Storia di Bergamo e dei Bergamaschi” di Bortolo Belotti si possono ricostruire i fatti dell’epoca.
Le lotte tra i vari paesi e le famiglie avvenivano spesso con razzie e distruzioni delle contrade ad opera di manipoli di uomini che si spostavano sulle vie di comunicazione. Le strade erano sempre tracciate in alto, come del resto in alto erano le contrade principali, al riparo da possibili attacchi e più facilmente difendibili. I fondovalle erano poco frequentati, impervi e poco difendibili, oltre che luoghi ideali per assalti e imboscate. In punti strategici erano costruite piccole bastie o fortezze in legno e pietra, dove piccole squadre di soldati potevano presidiare intere vallate. Il Castello di Cornalba, o più comunemente della Regina, come del resto quelli sul monte Ubione o sul Canto Alto, svolgevano questa funzione, erano avamposti a difesa delle valli che si aprivano sotto le cime su cui erano stati eretti.
Le prime notizie sulla costruzione di una bastia in legno in cima al Castello della Regina sono risalenti al 1360, quando per volere di Barnabò Visconti e dei ghibellini brembillesi, fu costruito un fortino in legno chiamato “Castello di Cornalba”. Nel 1368, durante alcune sollevazioni di guelfi in Val Brembana, il castello venne distrutto dai Pesenti di Brembilla. Di questa distruzione sono testimonianza le lettere che Franciscolo Viviani, podestà, Nicolò Terzo, capitano, e Giorgio Chizoli, referendario di Bergamo, scrisseroa Benvenuto, Podestà di Lecco il 18 e 19 maggio di quell’anno.
Il 20 agosto 1383, 250 guelfi della Valle Brembana con a capo il figlio di Merino Olmo tentarono invano di attaccare il castello. In quell’occasione i guelfi uccisero Persvallo dei Pesenti, sequestrarono 600 pecore e 80 vacche, di proprietà della famiglia Pesenti, i cui seguaci, comunque, ferirono, tra gli altri, un nipote di Merino dell’Olmo, che morì pochi giorni dopo. L’anno successivo le due fortificazioni vennero rifabbricate in pietra, con un esborso totale per i Visconti di 5200 Lire, subito recuperate con l’odiata taglia sul sale imposta ai cittadini di Brembilla.
All’interno del castello di Cornalba dimoravano abitualmente un castellano, 8 soldati un cane e un ragazzo. Dal 1383 in avanti si susseguirono attacchi e vendette tra le famiglie guelfe e ghibelline di Brembilla e della Val Brembana, tra cui la razzia del 1393 alla contrada di “Castagnola”, dove i guelfi uccisero un certo Piazzola dei Tremeris, unico abitante della contrada che non aveva fatto in tempo a fuggire. In quella circostanza rubarono circa 200 pecore, 150 vacche e bruciarono le case di Castegnola. Poi, nello stesso giorno, una parte di questi guelfi scese a Brembilla e incendiò molte case dei Carminati, mentre un altro gruppo assediò le case dei Maffeis, in soccorso dei quali accorsero subito i ghibellini. Da questi scontri non fu immune nemmeno la zona di Laxolo, dove, il 15 settembre 1393, i guelfi della Valle Imagna, spalleggiati da quelli della Val Brembana, bruciarono tutte le case.
Malgrado vari tentativi di pace negli anni a cavallo tra la fine e l’inizio del nuovo secolo e nonostante le buone intenzioni di Gian Galeazzo Visconti, le ruberie e le uccisioni continuarono. La morte poi di Gian Galeazzo nel 1402 diede nuovo ardore ai tentativi di conquista del potere da parte delle due fazioni. In questo contesto il 5 settembre 1403 vi fu la completa distruzione del Castello di Cornalba, che il Castelli narra così: “Il giorno mercoledì cinque settembre, Bertazzolo dei Boselli con la sua brigata, e Giovanni dei Sonzogni di Sussia, con una brigata di circa 200 guelfi, presero il Castello di Cornalba, provvisto di difese e macchine da guerra, e catturarono il castellano, che era lì con cinque dei suoi, tra cui un figlio dei Pesenti e dei Tremeri, nessuna lezione fu data a loro. E lo stesso giorno distrussero il detto castello e portarono le porte fino a S. Giovanni Bianco”.
Alla distruzione si associò quindi, da parte dei guelfi, il gesto simbolico di portare le porte fino a San Giovanni Bianco in segno di vittoria e per soffocare ogni sentimento di rivalsa o mire di ricostruzione. Le diatribe tra fazioni negli anni successivi continuarono, ma non vi sono notizie di una nuova riedificazione del castello. Questo non significa che i Brembillesi esaurirono il loro ardore nei combattimenti, perché con il logorio del dominio visconteo e l’avanzata nei decenni successivi dei veneziani nella nostra provincia, i Brembillesi furono tra i più tenaci oppositori al nuovo dominatore fino alla punizione estrema del 1443, la cacciata da Brembilla di tutti gli abitanti e il successivo trapianto, sul territorio brembillese, di famiglie amiche ai nuovi dominatori veneti.