Intervista agli Àwaré

Per dare il giusto spazio alla scena artistica emergente del nostro territorio, ecco la prima di una serie di interviste ai protagonisti della musica locale.
30 Ottobre 2017

Ad un occhio superficiale, la nostra provincia sembra troppo spesso avara di novità, in ogni campo. L’immagine di Bergamo e del suo territorio è un’immagine conservatrice, che parla soprattutto di tradizione, rassicurante in un certo senso ma noiosa in un altro. Ad un secondo sguardo è però facile scoprire che anche da noi le nuove generazioni sono capaci di idee e proposte originali, che magari faticano a trovare una ribalta, ma che rivelano un fermento – artistico e non solo – identico a quello che si può trovare in realtà più note. Per dare il giusto spazio alla scena artistica emergente del nostro territorio, ecco la prima di una serie di interviste ai protagonisti della musica locale.

Incontriamo all’Edoné di Bergamo gli Àwaré, band bergamasca di formazione recente reduce da un live nel locale di Redona, punto di riferimento per i gruppi emergenti della zona. Gli Àwaré – parola giapponese che esprime la meraviglia di fronte alla caducità delle cose – sono quattro. In ordine di anzianità: Giovanni Bonalumi di Presezzo, 29 anni, fonico, chitarrista della band e regista del video del primo singolo; Francesco Mancin di Mozzo, 26 anni, bassista e reduce da giurisprudenza; Andrea Testa di Brembate Sopra, 25 anni, un background da grafico e batterista della band; e infine Viky Rubini di Brembate Sopra, 22 anni, studente di medicina, che scrive i testi oltre ad essere voce e chitarra del gruppo. La loro è una musica d’impatto che si inserisce nel filone del rock d’autore e ricorda le atmosfere anni 90 del grunge, ma con una volontà di mantenersi originali e attuali, come loro stessi tengono a sottolineare.

G: Proviamo insieme da due anni, siamo gli Àwaré da gennaio. Io, Andrea e Francesco eravamo turnisti per il progetto solista di Viky, poi la cosa si è evoluta e tutti insieme siamo diventati una band. È lui, il nostro frontman, ad aver soprannominato il nostro genere ‘new grunge’.

V: Il grunge ha una collocazione spaziale e temporale abbastanza precisa: gli Stati Uniti degli anni 90; perciò mettere ‘new’ ci sembrava d’obbligo per spiegare che lo spirito è quello grunge, cioè molto diretto, però non è che rifacciamo i Nirvana. Quello che abbiamo preso da gruppi come il loro è l’essere diretti nel suono, nei testi, nell’intenzione musicale, ma cerchiamo di fare qualcosa di originale.

A: Parlando della scena locale, ci ispiriamo tra gli altri ai Requiem for Paola P., una band di Bergamo; per quanto riguarda la scena internazionale, un riferimento sono i Foo Fighters.

Avere successo in campo musicale è sempre una corsa a ostacoli: quali sono le prospettive per una band emergente che fa un rock rivisitato e parte dalla provincia?

V: Affermarsi è complicato se non fai musica divertente o di puro intrattenimento; l’unica cosa da fare è andare avanti, insistere senza farsi demoralizzare. Fare musica con una certa attitudine in Italia oggi è davvero difficile. Però continuiamo a farlo per esprimerci, che è tanto vitale quanto mangiare.

G: Il rock suonato oggi è seguito da poche persone, molte meno rispetto a venti e forse anche dieci anni fa. La verità è che oggi è un genere di nicchia.

F: I locali di riferimento per questo genere comunque ci sono, per esempio la Latteria Molloy a Brescia, il Legend a Milano.

G: Sì. Però pochissimi ragazzi sono consapevoli dell’esistenza della musica suonata in generale, vanno poco ai concerti. E questi sono anche i motivi per cui è difficile emergere, i locali dove si suona ci sono ma sono comunque pochissimi e poco frequentati.

Voi però siete a buon punto: è già uscito il video del vostro primo singolo.

G: Sì. La canzone si chiama “Un minuto di ascolto” e io ho prodotto il video. Il video è girato in un edificio abbandonato qui in provincia – non vi diciamo dove perché non avremmo potuto essere lì! Lo abbiamo scelto perché era in disuso, mezzo finito, mai utilizzato, degradato: è stato un po’ riportato in vita dalla nostra musica.

V: Il testo del singolo – che ho scritto io – parla della necessità dell’ascoltare: se nessuno ascolta la tua musica, a cosa serve farla? Il titolo non si riferisce però solo alla nostra musica, anzi, va molto oltre. Parla dell’ascolto in generale. Sono rimasto scioccato da come negli ultimi tempi ci sia un susseguirsi di minuti di silenzio per stragi e tragedie varie; minuti che però, se sommati tutti insieme, risultano in un grande silenzio in cui nessuno ascolta più nessuno. La nostra idea è diversa: invece che starcene tutti in silenzio, impariamo ad ascoltarci a vicenda e a chiedere agli altri come va.

Nelle ultime settimane gli Àwaré hanno girato il nord Italia in concerto: passando per Torino, Trieste, Pavia, Brescia, e naturalmente Bergamo, dove torneranno presto. Come è andato il vostro primo mini tour?

F: Caloroso – anche se non letteralmente, c’erano 3 gradi a Savona! La risposta di quelli a cui sono arrivati la musica e il messaggio è stata molto forte e empatica.

V: Sta andando bene perché gli obiettivi erano far girare il nostro nome, unire la band e naturalmente suonare suonare e ancora suonare. Torniamo in zona il 4 novembre al Joe Koala di Osio Sopra e poi il 17 allo spazio Polaresco di Bergamo con altre band.

Domanda d’obbligo: anche se posso già immaginare la risposta, cosa pensate dei talent? Sono una valida via verso il successo, alternativa alla classica e faticosa gavetta con un live dietro l’altro che state facendo voi?

V: Preferisco che il nostro pubblico non sia quello passivo del divano, ma che sia composto da gente che esce di casa per sentirci, che sceglie attivamente di ascoltarci. Non credo che i talent siano produttori di buona musica né di arte; sicuramente raccolgono belle voci, ma prendono quella che potenzialmente potrebbe essere una buona espressione artistica e la riducono ad un modello standard di cui, sinceramente, dal punto di vista artistico non me ne importa niente.

F: Posto che noi come formazione saremmo totalmente impresentabili ad un talent, forse la cosa più fastidiosa è il preconfezionamento del modello musicale prodotto, la cui efficacia tra l’altro si esaurisce non appena finisce il programma. I talent stanno letteralmente uccidendo la musica live, l’originalità della produzione italiana, la possibilità di avere correnti artistiche. Non fanno altro che scopiazzare il peggio delle cose che si trovano all’estero.

Ma voi allora che musica ascoltate?

A: I Ministri tra gli italiani, all’estero soprattutto metal: Bring the Horizon, Linkin Park, Dark Tranquillity.

F: Funky, jazz, progressive rock e grunge classico, in quest’ordine.

V: Tantissimo metal, tanto progressive italiano e musica classica anche, ma solo Beethoven.

G: Facendo il fonico negli ultimi anni mi capita sempre meno spesso di ascoltare la musica per piacere. In ogni caso, mi piacciono il funky, il jazz, il blues, il rock, ma disprezzo il metal.

Quale band ha fatto un percorso artistico che – al di là del genere – vi piacerebbe imitare?

V: I FASK, Fast Animals and Slow Kids (gruppo di alternative rock di Perugia, ndr), perché si sono davvero fatti da soli, impegnandosi data dopo data: venivano al Druso (locale di musica live a Ranica, ndr) davanti a quattro gatti, quando tornavano però quel poco pubblico sapeva i pezzi, l’anno dopo ancora il pubblico aumentava; e alla fine ce l’hanno fatta, senza scendere a compromessi a livello artistico.

F: Aggiungerei i Plastic Made Sofa, anche loro hanno avuto un percorso lineare: suoni, piaci, vai avanti.

Prospettive future?

F: Il disco. Le cose che abbiamo suonato nel tour finiranno nel disco, di cui per ora è uscito solo il singolo.

G: I pezzi sono quasi pronti, manca giusto qualcosina e poi il lavoro in studio con i suoni e gli arrangiamenti. A: In massimo un anno sarà pronto.

Aspettando l’uscita del disco, l’appuntamento è per i concerti di novembre.

Ecco il video del singolo “Un minuto di ascolto”

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