Da anni ormai calca i palchi di palazzetti, stadi e teatri, Festival di Sanremo compreso, di tutta Italia, con un fan club tutto suo e migliaia di follower sui social. Ma la popolarità e l’affetto del pubblico non l’hanno mai cambiato e Stefano Forcella, oggi 42 anni, è rimasto coi piedi saldi per terra, o meglio in Val Brembilla, dove tutto è cominciato. E senza montarsi la testa ma ben consapevole dei valori importanti della vita che vanno oltre il successo. Il merito? Forse l’essere nato proprio in valle.
Stefano che rapporto hai con il tuo paese d’origine? Ci ritorni spesso?
Da anni abito nella Bassa bergamasca e appena riesco ci torno volentieri. Ogni volta è l’occasione per incontrare vecchi amici e conoscenze, oltre a mia mamma e ai miei fratelli. Credo che crescere in quel contesto, grazie anche alla mia famiglia, mi abbia trasmesso dei bei valori: principalmente il vivere e godere delle cose semplici. E quando nella vita ti succedono le grandi cose, anche clamorose, riesci ad apprezzarle meglio.
Il tuo ricordo più bello?
Sicuramente i miei 14-15 anni, periodo in cui è esplosa la mia passione per la musica. La vita con la compagnia di allora girava proprio intorno alla musica rock e ai concerti. Molti dei miei amici avevano fratelli più grandi che suonavano e quindi anche noi decidemmo di seguire le loro orme mettendo insieme una band. La mia prima band: gli Incrostazione.
E qui nasce lo Stefano bassista..
Si perché cantante, chitarrista e batterista erano già stati decisi e a me “toccò” il basso. Da allora ci ho creduto e ricordo ancora le ore passate a esercitarmi sui dischi metal e rock. Ho poi studiato e preso lezioni ma, fondamentalmente, sono sempre stato un autodidatta.
Come sei finito nei Modà?
Subito quando mi sono trasferito a Milano. Avevo 24 anni, l’età giusta per andare alla ricerca di “fortuna”. Nel giro delle sale prove della città conobbi Francesco (Kekko), all’epoca un semplice ragazzo come me con la passione per la musica e tanti sogni nel cassetto. Mi fece sentire un paio di demo che mi colpirono subito e accettai di partire insieme a lui in questa nuova avventura. Era il 2002. Da allora tanta, tanta gavetta fino ai primi veri risultati intorno al 2010, per arrivare all’escalation mediatica di questi ultimi anni.
Il momento/concerto più bello?
Ovviamente il primissimo concerto al River Club di Sant’Omobono Terme nel 1992, indimenticabile. E poi ogni “prima volta” con i Modà: al Forum di Assago, a San Siro nel 2014 e all’Arena di Verona.
Suoni anche in altre band vero?
Sì, non mi sono mai fermato perché credo sia importante per un qualsiasi musicista avere una certa apertura mentale. Anni fa con Diego, il chitarrista dei Modà, e un nostro amico batterista decidemmo di trovarci a improvvisare per puro divertimento. In realtà da quelle improvvisazioni stavano nascendo dei brani con un tiro e un groove che non potevamo lasciare certo in sala prove. Nacquero così i Fixforb, band strumentale di funk, psichedelia, electro, senza alcun limite alla creatività. Ancora oggi facciamo concerti e ci divertiamo un sacco.
In che senso?
Il bello dei Fixforb è il poter passare dai palchi delle grandi tournée a suonare alla vecchia maniera nei club, davanti magari a poche decine di persone. Jack nell’ampli, concerto, birra e quattro chiacchiere post serata con vecchi e nuovi amici. È un po’ un “ritorno al futuro”, il poter tornare da dove arriviamo. In fondo è anche un modo come un altro per restare con i piedi per terra.
Ti senti all’apice della carriera?
Più che sentirmi all’apice sento semplicemente di aver realizzato in questi ultimi anni tanti sogni e vissuto esperienze professionali e umane bellissime che porterò sempre nel mio cuore. In effetti non potrei chiedere molto di più, ma spero nella vita di poter realizzare ancora tanti sogni.
In un periodo in cui le chitarre sembrano non attrarre più le nuove generazioni cosa consiglieresti a un giovane che si vuole lanciare nel mondo della musica?
Guarda, in realtà è vero che fare e produrre musica con strumenti “virtual” è alla portata di tutti. Del resto cambiano i mezzi, ma non la creatività e ricerca. Io stesso seguo e sono un grande amante di un certo tipo di musica elettronica. E poi imparare a suonare uno strumento va ancora. Basta aprire YouTube dove spopolano veri e propri fenomeni, spesso giovanissimi, e di quanto siano a loro volta seguiti da un sacco di follower.
Ed è una bella cosa?
Certo anche se ho l’impressione che il tutto sia un po’ autorefenziale. Della serie: mi faccio la suonata in cameretta e posto il video sui social. Applausi e tanti like. Questo però rischia di sostituire la vera vita da musicista, quella che si trascorre “fuori”, con una band, facendo concerti, vivendo esperienze. E non credo sia una questione di spazi. Le opportunità, anche se forse non più come una volta, ci sono. Basta crederci.
(Credit immagine: Fabrizio Balconi per DvD Reporter)