La sera del 4 ottobre 1944 alle ore 22.30 un aereo B24 volteggiava sul cielo del monte di Zambla. La sera era buia e nebbiosa. L’aereo insistentemente cercava a terra il punto segnalato con torce per effettuare l’aviolancio ai partigiani delle formazioni locali.
Due giorni prima da Radio Londra erano già state mandate le parole d’ordine che prevedevano un aviolancio in quell’aerea. Uno squarcio fra le nuvole fece intravedere al pilota i segnali luminosi a terra come convenuto. Ma al passaggio successivo il pertugio si era richiuso. L’aereo non poteva aspettare ulteriormente. Il pilota ordinò la chiusura immediata dei portelloni di coda e a tutto regime le quattro eliche spinsero l’aereo verso l’alto in direzione nord-nord-ovest.
Ognuno si posizionò ai propri posti. Dieci aviatori americani e tre agenti speciali si riallacciarono le cinture di sicurezza nel freddo pungente della carlinga. Passarono pochi istanti. Una fiammata seguita da un boato assordante risvegliò tutti i valligiani. Tutto il crinale del Pezzadello era un gran braciere.
Che cosa era successo? Da dove veniva l’aereo? Qual era la reale missione? I corpi furono ricomposti qualche giorno dopo. Nell’assoluto silenzio della loro identità vennero sepolti sul luogo. Solo a guerra finita furono recuperati da una squadra di fanteria americana e trasportati in America. Per rispondere alle numerose domande abbiamo iniziato ad indagare, chiedere, cercare negli archivi. Solo la memoria e il ricordo dei valligiani ci hanno aiutato a ricostruire anche se in forma sommario l’accaduto. Gli archivi non hanno dato nessuna risposta. I documenti sono stati asportati.
Solo l’arrivo di documenti dall’ufficio onoranze funebri degli Stati Uniti ci permise di dare alcune risposte alle numerose domande poste. L’aereo era un B24 Liberator. Il nome era Lady Irene. Era partito da Brindisi alle 18.45. La missione era segreta. In totale oscuramento luminoso e radio, carico d’armi, esplosivi e contenitori pieni per l’aviolancio, percorse tutto l’Adriatico per entrare il Pianura Padana da Chioggia.
Aveva due missioni da compiere. La prima l’aviolancio sul monte di Zambla. La seconda, invece, paracadutare i tre agenti speciali con armi ed esplosivo in un quadrato di cento metri sopra l’abitato di Monasterolo sul lago d’Endine. Dagli Stati Uniti dopo 63 anni conosciamo ora i nomi dell’equipaggio, i dati di volo, ma non conosciamo i tre agenti speciali che erano a bordo.
Sappiamo che il velivolo era molto carico. Oltre al carburante sufficiente a tornare alla base di Brindisi, alle 13 persone, a numerosi contenitori da aviolanciare sul Monte di Zambla, l’aereo aveva a bordo una forte quantità d’esplosivo al plastico, armi, munizioni e una buona quantità di soldi. Soldi in lire italiane rivenuti semibruciati dopo l’impatto.
Come reagì la popolazione
Il rombo di un aereo B24 Liberator quadrimotore alle 22.45 di una notte d’autunno intimorì non poco la popolazione. C’era il timore fondato che potesse bombardare le miniere di calamina e zinco dell’Arera, oppure la laveria in valle. Lo schianto seguito da un furioso incendio sul crinale del Pezzadello incuriosì tutti e i più ardimentosi partirono subito verso il monte. I primi che arrivarono nella zona dello schianto trovarono una situazione davvero infernale.
Pezzi di lamiere incandescenti, munizioni che scoppiavano, fumo, fiamme che correvano lungo lo scosceso declivio. Si attese che l’incendio diminuisse. I corpi dei caduti furono intravisti tra le rocce del monte. Furono sepolti sul luogo. I giorni successivi videro una lunga processione di locali portarsi al punto dell’impatto e ognuno raccogliere quello che più si confaceva per essere in qualche maniera rimodellato e riutilizzato. Non si conobbe mai né la successione dell’incidente, né la missione principale, né i nomi dei caduti. Nessuna cerimonia in memoria fu mai celebrata, né un cippo fu eretto. Come dicevo gli archivi non diedero nessuna risposta alle numerose domande.
E gli Alleati? Gli americani dopo un’inutile attesa del ritorno dell’aeromobile lo dichiararono disperso. Lo attesero a Brindisi fino al mattino successivo. Quando tecnicamente l’aereo avrebbe dovuto finire il carburante fu allestita una pattuglia di soccorso che si spinse fino all’alto Adriatico. Dopo circa una settimana, il 12 ottobre, dietro informazioni delle nostre formazioni partigiane, l’aereo venne ufficialmente dichiarato “missing” e l’equipaggio disperso. Due anni dopo una squadra di marines si portò ad Oltre il Colle. Ben equipaggiati, con una carovana di muli salirono sul Menna. Guidati da locali individuarono la fossa comune dove erano sepolte le vittime del disastro. Le raccolsero e le sistemarono nei sacchi mortuari per essere inviate al cimitero militare americano di Louisville, dove riposano tuttora.
E la vera missione? Dal “MACR” (Missing Air Crew Report) si desume chiaramente l’estrema segretezza della missione. Assoluto isolamento ottico e radio dalla partenza al ritorno. Le coordinate riportate individuano un posto per paracadutare agenti ed esplosivi sopra l’abitato di Monasterolo al Castello. Qui l’aereo era atteso con impazienza perché i tre agenti speciali dell’OSS inglese avrebbero trovato assistenza e riparo. Ma qual era la vera missione di questo piccolo reparto di agenti speciali? È una domanda alla quale non si è in grado di rispondere. Si possono fare tante supposizioni: – sabotaggi alle industrie belliche dell’area bresciana. – sabotaggi a strade e ferrovie – addestramento a reparti partigiani. – non escluderei nemmeno un grosso attentato a Salò.
In conclusione L’evento si può classificare come uno dei tanti casi insoluti che coinvolgono il lungo periodo dall’8 settembre 1943 fino al 25 aprile 1945. Da inquadrare nella lotta di Liberazione in un’area particolarmente sensibile e delicata proprio a ridosso del quartier generale di Mussolini. Abbiamo potuto far luce sulla dinamica, provenienza e destinazione dell’aeromobile. Ma altre domande non hanno trovato risposte. Sono passati 63 anni da quella sera. Forse troppi per trovare ancora dei testimoni. Soprattutto a Monasterolo al Castello. Anzi questo scritto può aiutare a rintracciare ricordi o testimoni del tempo che sul lago di Endine attendevano quell’aereo che non poteva più arrivare.
Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.6” e scritto da Massimo Maurizio.
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