Come si costruiva una casa nel ‘500, alla faccia della burocrazia di oggi

Un antico contratto relativo alla costruzione di una casa ad Averara nel 1552 racconta le procedure che portavano alla realizzazione di una casa.
9 Febbraio 2019

Ai giorni nostri le operazioni preliminari alla costruzione di una casa sono soggette a precise norme che prevedono vari adempimenti riguardanti tra l’altro l’idoneità del terreno nel contesto del piano comunale di gestione del territorio e dei vincoli idrogeologici e il rispetto delle distanze dalle altre abitazioni o dalle strade. Seguono gli adempimenti progettuali, che competono a un tecnico abilitato il quale progetta l’edificio nel rispetto degli standard architettonici e tecnologici ed acquisisce le necessarie autorizzazioni comunali che prevedono i versamento delle relative tasse di concessione. Infine l’impresa edile, in possesso dei necessari requisiti, può dare il via alla costruzione dell’edificio.

Di tutte queste pratiche non c’è traccia nei documenti antichi relativi all’attività edilizia: la costruzione di una casa era un’operazione non soggetta a particolari norme e non prevedeva la redazione di un progetto, ma era una questione strettamente personale tra il committente e il costruttore, non necessariamente formalizzato da un atto notarile. Non per questo le case che si costruivano nei secoli passati erano meno belle e sicure di quelle attuali: le possiamo ammirare ancora oggi nei centri storici dei nostri paesi e nelle contrade meglio conservate. Se gli edifici del Cinquecento sono andati scomparendo non è certo per essere venuta meno la loro solidità, ma perché nei recenti anni di frenetica quanto dissennata modernizzazione sono stati abbattuti o radicalmente trasformati e snaturati nelle linee e nelle strutture. Quelli che sono sopravvissuti, a patto che siano oggetto di adeguata manutenzione conservativa, sono destinati a durare per altri secoli, probabilmente più a lungo delle anonime palazzine degli anni del “miracolo economico” italiano, che dopo nemmeno mezzo secolo mostrano già evidenti segni di decadenza.

Il documento che viene qui trascritto riguarda un contratto per la costruzione di una casa ad Averara alla metà del Cinquecento.1 Il 26 marzo 1552, davanti al notaio Prospero Bottagisi, fu stipulato tra messer Giovanni Domenico Bottagisi della contrada Piazzola, agente anche a nome dei suoi fratelli, e mastro Antonio Guarinoni, muratore, il contratto per la costruzione di una casa da erigersi alla Piazzola, davanti a un edificio già esistente, di proprietà del Bottagisi e adibito a pubblica caneva. Il contratto specifica le caratteristiche dell’edificio che sarebbe dovuto sorgere su tre piani e avere le stesse dimensioni della vicina caneva.

Il soffitto di ogni piano avrebbe dovuto avere una soletta di travi di legno piallate e ben lavorate, con le teste sporgenti all’estero dei muri per consentire la costruzione dei ballatoi. Al piano terra era previsto un portico sorretto da due archi in pietra, uno aperto sul lato sud e l’altro su quello nord. Al primo piano sarebbe stato ricavato un unico locale, adibito a cucina e soggiorno, e al secondo piano un altro locale, adibito a camera da letto. La casa avrebbe avuto le misure esterne di circa 6 metri per 5. Il contratto precisa anche lo spessore dei muri, diverso tra il piano terra e i due superiori e, in misure attuali, è approssimativamente di 56 centimetri al piano terra, 46 al primo piano e 40 al secondo piano. Dato il diverso spessore dei muri, le superfici interne utili dei tre locali sarebbero variate di conseguenza: circa 22,5 metri quadrati per il portico, circa 25 per il soggiorno e circa 26 per la camera da letto.

Le porte d’accesso ai locali dei due piani superiori sarebbero state aperte sul lato nord della casa, realizzate in pietra lavorata e precedute da un ballatoio. Un altro ballatoio sarebbe stato costruito al secondo piano, lungo la facciata ovest. Per ogni piano furono inoltre previste due finestre in pietra, aperte nelle facciate sud e nord. I due contraenti si accordarono poi sugli aspetti organizzativi del cantiere. Il committente si sarebbe dovuto far carico dello scavo delle fondamenta, procurando a proprie spese il legname necessario per le palizzate. Inoltre avrebbe dovuto far portare al cantiere, sempre a proprie spese, il legname, le pietre, i serramenti, la calcina e quant’altro necessario alla costruzione della casa, compresi i cantonali per gli angoli dei muri.

Il costruttore, per parte sua, oltre a porre in opera le pietre e le travi, si impegnò a lavorarle a regola d’arte. Si passa infine al compenso per il costruttore, che viene definito secondo la logica che oggi si definirebbe “a corpo”. Al Guarinoni vengono garantiti 12 soldi imperiali per ogni braccio di pietra lavorata, da misurarsi in terra, 50 soldi imperiali per ogni cavezzo di muro, calcolando i pieni e i vuoti, e infine 5 lire imperiali per ogni soffitta. Alla stipula del contratto presenziarono due testimoni, necessari per la validità dell’atto: messer Giacomo fu messer Giovanni Guarinoni e mastro Giovanni Pietro fu mastro Elia Bottagisi, entrambi della contrada Piazza Molini di Averara.

 

IL CONTRATTO

Adì 26 marzo 1552

Noto sia a qualunque persona lezante la presente scriptura qualmente mastro Antonio q. Bon di Guarinoni muratore, a righiesta di ser Joan Domenego q. di ser Domenego Gazino di Botegisi dela Piazola, promette di far et fabricar al ditto ser Jo. Domenego, agente a suo nome et di fratelli, una casa nel loco dela Piazola, denanci la casa donde è la caneva2 del ditto ser Jo. Domenego et fratelli, dala parte verso fora.

Qual fabrica dabi esser larga de dentro dali muri braza 8 da legname3 et larga braza 10, cioè di longeza como è l’altra casa et qual casa la debia far di bon muro, alta fino al altro tetto de l’altra casa, con doij archi di preda over tovi4 lavorati, uno verso mezo dì et l’altro verso monte, et con zovate5 tre di legname, cioè zovi, ben piolati et lavorati, et li legni che avanzarano fora dali muri debia esser lavorati la testa, et con doij balconate sula prima lobbia, over zovata verso sera, cioè verso l’orto, et una verso mezo dì, tuti di prede, over tovi lavorati, et doij balconi nela seconda zovata, qual sarà una camera, uno verso l’orto et l’altro verso mezo dì, et con ostij doij di piode, uno nela prima zovata qual sarà una sala et l’altro nela seconda zovata, qual sarà una camera, dala parte verso monte toti doij, et meter nel muro li zovi per poter far uno di balatori da entrata per diti ostij,6 et simelmente far vanzar fora del muro li zovi dela seconda zovata per poder far uno balatoro verso l’orto, le teste deli quali debiano esser lavorate.

El muro dela qual fabrica debia esser grosso, fina ala prima zovata, quarte 5 da legname,7 et da lì in suso, sino ala cima, tanto che in cima sia grosso quarte 3, et la pariete verso mezo dì et monte, cioè sopra li archi, che sia grossa quarte 3½ in fundo, cioè sopra li archi, et in cima quarte 3.Et el ditto ser Jo. Domenego sia tenuto a far li fondali8 di dita fabrica, cioè el cavamento, et metter li pali et legnami per far la palificata neli ditti fondali s’el sarà necessario per far bon fondamento.

Et sia tenuto anchora a darge in tal lavorerio, cioè in tera et a sui spesi proprij del ditto ser Jo. Domenego tuti li legnami, prede, seramenti, calcina et tute le altre cose necessarie per far la ditta fabrica, ma el ditto mastro Antonio sia tenuto a far et lavorar tute le prede et tovi sarano necessarij per far ditta fabrica. Et per sua mercede el ditto ser Jo. Domenego promette di dar al ditto mastro Antonio per ogna cavezzo9 di muro, da esser mesurato ogna pieno et voto, soldi 50 imperiali,10 et per ogni brazo di preda lavorata, over tovi, soldi 12 imperiali, da esser però mesurati in tera, et tando di ostij et balconi, quanto di archi.

Et per ogni zovata lire 5 imperiali, con questo però patto ch’el ditto ser Jo. Domenego sia tenuto a darge lì li legnami in tera, squadrati et a sua propria spesa, et li cantoni per le cantonate di ditta fabrica simelmente dargeli lì sul lavorerio, cioè in tera, a spese proprie del ditto ser Jo. Domenego. Et questo fo adi 26 marzo 1552, presente messer Jacomo q. di ser Joanne di Guarinoni et mastro Joan Pietro q. di mastro Elia di Botegisi, tuti doij dela Piaza di Molini, quali se sottoscriveremo. Et mi Prospero q. mastro Paulo de Botegisi dela Piaza di Molini ho scritto di voluntà et comissione de li presenti mastro Antonio di Guarinoni et ser Jo. Domenego de Botegisi contrahenti. Et mi Jacomo Guarinoni soprascripto fui presente et attesto. Et io Jo. Piero de Botegisi soprascripto fo presente ala soprascripta.

Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.12” e scritto da Tarcisio Bottani.

(Fonte Immagine: Altobrembo.it)

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