Anche la Valle Brembana, come tutta l’Italia centro settentrionale, fu sconvolta a partire dal XII secolo da sanguinose lotte. Durante il conflitto tra Papato e Impero, protrattosi per più di un secolo, si erano formate e stabilizzate in tutto il territorio brembano due “partes”, micro-fazioni contrapposte tese ad orientare l’azione politica del territorio a favore dell’uno o dell’altro dei due contendenti. Guelfi erano coloro che appoggiavano il papa, Ghibellini coloro che si dimostravano favorevoli all’imperatore.
Alle motivazioni originarie si erano poi sovrapposti infiniti altri fattori di carattere economico, politico, spesso parentale in un intreccio di accordi e di rancori che portavano ad un tasso elevatissimo di conflittualità. Possiamo immaginare un territorio in cui gli scontri erano all’ordine del giorno capaci di incutere paura alla popolazione semplice, che nelle sue faccende quotidiane era spesso coinvolta dalle azioni delle due fazioni. Rivalità assai radicata, tanto da dimenticare i veri interessi della fazione facendo prevalere i propri, offuscando anche il buon senso delle persone.
Così a partire dal XII secolo e per tutto il XIII e il XIV e oltre la Valle Brembana, come il resto del nord Italia, divenne palcoscenico di lotte sanguinarie alle quali anche la sacralità dei luoghi di culto si rivelava impotente. Castello Castelli nel suo Cronicon racconta gli scontri avvenuti nel territorio bergamasco, patria alla quale apparteneva, illustrando con le sue parole il terrore che sempre più dilagava nel territorio. Legate agli scontri vi erano una moltitudine di strutture fortificate o meno, le quali si rivelavano spesso simbolo di sconfitte, grazie all’assediamento di esse una fazione conquistava parte del territorio dell’altra confinandola in un territorio più ristretto.
Mosè Torricella nel suo libro Guelfi e Ghibellini, cenni storici di San Pellegrino e suo dintorni del 1872 si sofferma sulle varie strutture guelfe e ghibelline che la storia gli tramandò, cercando di ricostruirne non solo la storia e gli eventi, ma anche l’aspetto. In particolare Torricella scrive su una fortezza che dominava la contrada di Piazzacava sull’attuale comune di San Pellegrino Terme. Dal paese guardando verso nord possiamo notare uno sperone roccioso che ancora oggi gli anziani chiamano con il nome di “castel”, un nome che la storia non vuole sia casuale, infatti proprio in quel luogo sorgeva il castello.
Torricella racconta che al suo tempo gli storici collocavano la costruzione di questo castello dopo la sconfitta di Berengario da parte degli Ungheri nella battaglia di Breghens (950), tempo nel quale la popolazione era terrorizzata dal dilagare del popolo barbaro a tal punto da erigere castelli e fortezze nelle gole dei monti. A suo parere però la fortezza aveva origini antecedenti, un’idea confermata dal ritrovamento di alcune monete romane, frecce ed elmi durante alcuni scavi che i ricercatori eseguirono nel sito appartenente al castello lungo il corso del XIX secolo, distruggendo così anche i pochi resti murari, al tempo, visibili.
Con certezza sappiamo che venne utilizzata dalla microfazione ghibellina, e negli anni degli scontri divenne luogo di battaglie, anche se non fu mai distrutta da mano d’uomo, ma dall’inutilizzo e incuria umana che lasciò libera strada alla natura per riprendere i propri spazi. La fortezza era edificata con enormi pietre solidamente affrancate alla nuda roccia degli speroni, verso l’abitato di Piazzacava vi era una cinta muraria con due bastioni alle estremità ed un fossato che divideva le mura dal corpo della fortezza, mentre ad ovest l’enorme precipizio garantiva alla struttura la difesa da qualsiasi attacco.
Il luogo dove venne costruito era strategico non solo per la difesa offerta dalla parete rocciosa inespugnabile, ma anche dalla cavità naturale che sotto le sue fondamenta si prolungava dalla parete che oggi domina la contrada di Pracastello (altro nome che non fu coniato dal caso), fino alla contrada di Pradello. Può sembrare una distanza esagerata, ma queste cavità ancora oggi si possono vedere anche se è quasi impossibile percorrerle. Torricella racconta che gli ultimi ad usufruirne furono i disertori del primo Napoleone, che in esse trovarono riparo.
Oggi possiamo solo vedere i due ingressi (vedi immagine qui sotto), due importanti testimonianze che non confermano totalmente i racconti di Torricella, ma che raccontano una piccola parte di un passato forse troppo lontano da essere facilmente decifrato in tutti i suoi aspetti.
Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.15” e scritto da Luca Zonca.