Il Tempio dei Caduti di San Pellegrino (o Tempio della Vittoria, come chiamato in passato) è una importante testimonianza della memoria della Grande Guerra in terra bergamasca. La realizzazione di un monumento così impegnativo è giustificabile non solo per il fatto di dover sostituire la chiesa abbattuta di San Carlo, ma anche per la passione per la guerra che si era sviluppata in Italia e in valle ai primi del ‘900 (dovuta anche alla presenza in loco di eroi della guerra di Libia), e per la necessità di esprimere un senso religioso per l’immane dramma che la nostra popolazione aveva vissuto direttamente o indirettamente.
In guerra la presenza di oltre 2000 cappellani militari (tutti volontari) anche nel comando supremo militare e la diffusione di un senso religioso del sacrificio supremo dei combattenti favorirono lo svilupparsi di una visione cristiana della guerra. Come in Germania letterati aveva sostenuto che “la morte sacrificale dei migliori del nostro popolo è soltanto una replica della Passione di Cristo” (Walter Flex), anche in Italia emersero durante e dopo il conflitto accostamenti tra la guerra e la religione: ad esempio Ungaretti presentò alla fine del 1917 un Cristo che, come i soldati italiani, combatté per tre anni per poi morire sul supplizio e far risorgere quindi “pura e universale la civiltà della sua razza”.
Da questo spunto potevano nascere il Tempio sanpellegrinese come la Cappella dei Caduti del cimitero di Zogno o le innumerevoli testimonianze di accostamenti di armi e croci sui monumenti e sulle lapidi ai Caduti in tutta la Val Brembana. Anche se molto si è detto e scritto sul Tempio, qualcosa si può ancora aggiungere.
In particolare circa
1) La scelta dell’architetto. Luigi Angelini all’epoca era già un apprezzato professionista e soprattutto era un reduce, un “superstes”, uno cioè che nel progetto del tempio poteva testimoniare il sacrificio religioso e le virtù del soldato al fronte.
2) La madrina. Giuditta Grazioli in Sonzogni, madre del Caduto Lorenzo, non è motivo decorativo della cerimonia della posa della prima pietra, ma silenziosa presenza, rappresentante di tutte le madri che hanno donato la vita a chi la versò per la grandezza della Patria.
3) L’autorità politica. Sulla scena del Tempio della Vittoria compaiono soprattutto due autorità politiche: Bortolo Belotti e GB Preda: il primo, liberale, partecipa alla cerimonia della posa della prima pietra, mentre il secondo, clericale (poi popolare, poi popolare nazionale) accoglie le salme dei Caduti nel 1927. La loro scelta è essenzialmente legata al combattentismo, non alle forze politiche che rappresentano. Belotti, da pacifista e neutralista, si era ritrovato ad appoggiare la guerra nazionale per responsabilità politica, era diventato volontario di guerra anche se non andò mai in trincea, a seguito della rotta di Caporetto contribuì alla costituzione del Fascio Parlamentare di Difesa Nazionale, gruppo di deputati e senatori favorevoli a continuare a tutti i costi la guerra fino alla vittoria, era stato propagandista e a San Pellegrino aveva tenuto uno dei suoi più appassionati discorsi sulla guerra. Preda, già primo sindaco clericale di Bergamo, era stato volontario di guerra (pur in età piuttosto avanzata). Le autorità politiche rappresentano quindi l’incarnazione stessa dei valori di patria e di eroismo.
4) Il luogo del Tempio. Come ogni monumento pubblico nazionale della Grande Guerra, esso venne collocato al centro dell’abitato perché il suo messaggio di eroismo e di gloria potesse essere colto da tutta la cittadinanza e perché nello stesso tempo potesse rendere ancora più bello il paese.
5) Funzione religiosa. Il Tempio nasce come edificio di proprietà comunale con funzione di culto religioso, che non solo contiene le salme di Caduti, ma che è intitolato e dedicato ai Caduti, nuovi martiri e protettori della comunità sanpellegrinese. Nella chiesa nulla è profano e aggiunto, ma tutto è religioso e necessario. Sulla facciata la dedica composta da don Davide Brevi intitola l’edificio sacro ai “Patriae Peremptis victoria sospite”, quindi ai Caduti per la Patria nella vittoria che ci ha dato la salvezza. Ancor più chiaramente, la scultura nella lunetta ci presenta una deposizione: siamo ai piedi della Croce (si intravedono i piedi crocifissi di Cristo) e il Caduto è deposto dalla Madre (Patria), riproducendo la deposizione di Cristo ad opera di Maria.I quattro versi endecasillabi composti dal Salaroli per l’interno della chiesa possono/devono essere letti in chiave religiosa, per cui la libertà è sia della Patria sia del Cristiano e la morte in una prospettiva religiosa è necessario momento di transizione verso l’immortalità/eternità del Paradiso e la luce è altro simbolo dell’approdo paradisiaco per il Caduto/Martire.
Gli stessi affreschi e le scritte evangeliche (sia l’accettata Filius redemit nos, sia la scartata Ego sum vites vos palmites) rinviano ad una possibile interpretazione figurale per cui se Cristo completò e adempì il messaggio degli antichi profeti Mosé, Saul, David e Debora, così San Martino (protettore della fanteria) e Santa Barbara (protettrice dell’artiglieria) e gli stessi soldati sacrificatisi in guerra adempirono e completarono il messaggio di Cristo. Se Cristo figlio di Dio portò all’umanità la redenzione, i Caduti, palmites (cioè i tralci della vite di Cristo) hanno portato all’Italia la nuova redenzione di Cristo.
6) Le date delle celebrazioni religiose. Il Tempio della Vittoria apriva per il culto religioso in due date simbolo della Patria: il 24 maggio (inizio della guerra) e il 4 novembre (data della Vittoria). Quindi la funzione del Tempio è di celebrare sia i Caduti/Martiri della nuova fede, ma anche i momenti costitutivi della nuova era della nazione italiana.
Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.16” e scritto da Ivano Sonzogni.