Ogni quinta domenica di Quaresima, la Sacra Spina, reliquia veneratissima dalla comunità di San Giovanni Bianco, viene delicatamente tolta dal tempietto dorato che la custodisce durante l’anno e, successivamente, esposta solennemente alle intenzioni e alle preghiere, nonché alla curiosità, di credenti e turisti. La Sacra Spina è diventata, nel corso dei secoli, un simbolo fortemente identitario della gente del piccolo paese della Valle Brembana (e di tutta la valle), in trepida attesa di una fioritura quale segno di una benevolenza divina, speranza e consolazione tanto nelle piccole fatiche quotidiane quanto nei momenti più bui e cupi della storia umana. Leggi QUA il calendario completo della festa di quest’anno.
Votarsi a un oggetto, in tempi intrisi di un razionalismo diffuso, potrebbe essere giudicato come un retaggio di gesti e credenze ormai superate, devozioni magiche da lasciarsi alle spalle in nome di un progresso inarrestabile riguardante le scienze e le conoscenze. Uno sguardo e un giudizio, a dire il vero, piuttosto frettolosi, privi di profondità storica: la questione non tocca la convinzione circa le proprietà prodigiose dell’oggetto in questione, ma la genesi e l’evoluzione di manifestazioni pubbliche e private, in grado di conferire una chiave di lettura e di comprensione di un preciso angolo di mondo, dal 1495 a oggi.
La festa, nelle sue ragioni profonde e nelle sue modalità esteriori, da sempre orienta e connota un popolo, un gruppo o una famiglia, svelando l’essenza più vera e autentica del vivere in una società, civile o religiosa che sia. La Sacra Spina “donata a San Giovanni Bianco nel 1495 nelle mani di don Antonio de’ Boselli, rettore della chiesa di San Giovanni Bianco” (M. Campagnoni e T. Terzi, Folclore Bergamasco, Editrice Cesare Ferrari) ha affrontato sfide e rischi, sopravvivendo a tentativi di furti, a fulmini e a banali incidenti, vivendo peripezie e avventure in grado di donarle un profilo ancora più prossimo e vicino alla popolazione del luogo. Come la carne dell’uomo invecchia e le sue ossa si spezzano, sotto il giogo del lavoro e delle preoccupazioni, così l’esile reliquia, nel lontano 18 marzo 1861, “a causa di un banale incidente, subì la più grave menomazione della sua storia, i cui effetti si notano ancora oggi” (Sac. Goffredo Zanchi, La Sacra Spina di S. Giovanni Bianco, Fotocomposizione, Impianti, Stampa: Quadrifoglio s.r.l. – Torre Boldone (Bergamo), Marzo 1987).
Verrebbe da dire che la materia, umana e divina, si riconosce nelle proprie ferite e cicatrici, linee dolorose impresse nelle verità dei fatti. Dell’increscioso avvenimento esiste un verbale, rifuso nel pregevole e documentato studio di Goffredo Zanchi (op. cit.): “Nella sagrestia Parrocchiale di S. Giovanni Bianco, li 18 Marzo 1861 alle ore 9 antimeridiane. Un casuale ed assai doloroso avvenimento verso l’Ave Maria di ieri sera, susseguiva improvvisamente alla comune contentezza di avere, anche in questo anno qui, potuto solennizzare con religiosa divozione e completa tranquillità, la solita festa in onore della nostra SS. Spina. Già erasi terminata ogni sacra funzione, e già il sagrista Antonio Nani, ed in aiuto di lui anche il falegname Carlo Covelli, avevano solleciti data la loro opera a sparecchiare l’altare della grande Reliquia quando, nell’atto di sforzarsi insieme ambedue a riassettare nella nicchia murata, sovrastante al detto altare, l’armadio ferramentato, che, chiuso da cinque chiavi le serve da custodia, l’armadio stesso, essendosi squilibrato, né per ciò avendo potuto da loro sostenere il grave peso, precipitò, e col di lui urto spinse fino al suolo, dall’altezza di oltre tre metri, anche il detto Sagrista, che si ebbe salva, può dirsi per miracolo, la propria vita.”
Una caduta accidentale, fortunatamente senza conseguenze per i solerti servitori del tempio, ma che palesò all’istante “una quasi totale frattura degli ornamenti lignei dorati di quell’armadio”, presagendo, con grande timore e sconcerto dei presenti, “qualche ben più rincrescevole rottura o guasto […] [al]la stessa Sacratissima Reliquia della Spina, o quanto meno, [al]la preziosa argentea sua teca”. Per le operazioni di verifica intervennero prontamente “i seguenti Signori: 1. Sac. Carlo Invernizzi, M.R. Parroco locale; 2. Stefani Federico, Sindaco Municipale; 3. Torricella Andrea fu Francesco; 4. Morali Francesco fu Pietro, Fabbriceri; 5. Canali D.G. Battista, depositario di una delle chiavi della custodia della Sacratissima Reliquia della SS. Spina; 6. Sac. Bartolomeo Fontana, già parroco di qui, ed ora M.R. Vicario della Parrocchia di S. Alessandro in Colonna in Bergamo; 7. Luiselli Giovanni fu Bernardo; 8. Gamba Giuseppe fu Bortolo; 9. Manzoni Giuseppe fu Giuseppe; 10. Covelli Carlo fu Cristoforo; 11. Benintendi Carlo di Pietro; 12. Bonetti Battista fu Giovanni, Testimoni”.
Dopo avere ricostruito le fasi dell’incidente, constatando la mancanza di cattive attenzioni da parte dei maldestri operai, i presenti si fecero coraggio, riconoscendo “per comune consenso, la necessità di prontamente aprire quell’armadio, per poter conoscere la sussistenza o meno dei temuti guasti, e per poter quindi opportunamente avvisarne all’eventuale riparo”. Il parroco indossò la sacra stola, alla luce di alcuni ceri e dinanzi allo sguardo preoccupato dei presenti, accostandosi all’armadio, aprendolo “coll’uso delle solite chiavi a lui sportesi”. Come previsto, sin da subito, i danni riscontrati alla teca e alla reliquia apparvero seri e ingenti: “La teca, oltre alla sofferta totale frantumazione del suo cilindro di vetro e dei soliti sigilli di ceralacca, vedesi essere stata sensibilmente depressa e sfigurata nella estremità superiore, e perfino vedesi distaccata dalla sommità stessa la bella cimasa in forma di un mazzetto di fiori. Il corpo della Sacratissima Spina, della apparente lunghezza di circa sei centimetri, tuttoché ancora vedesi ben sostenuto nel vuoto dalle due braccia argentee dorate dei due angioletti ergentesi nel mezzo della teca, pure figura rotta e mutilata verso la punta, ed infatti si trova sul piano interno dello stesso armadio, il corrispondente caduto pezzetto, che è dell’apparente lunghezza di circa un centimetro”.
Una volta raccolti “il gruppo ancora incolume dei detti due angioletti sostenenti la Sacratissima Spina” e “il sopradescritto corrispondente pezzetto staccato”, il parroco procedeva mettendoli in sicurezza “in una sacra Pisside”. L’armadio veniva in seguito ricollocato in chiesa, con la reliquia riposta regolarmente al suo interno, e chiuso mediante le cinque chiavi. Si procedeva successivamente con la riconsegna delle chiavi ai legittimi custodi e con la stesura del verbale. Si decise, pertanto, di non procedere con la riparazione, ma di “attendere l’arrivo ormai prossimo del Vescovo Mons. Speranza, che aveva già programmato una Visita Pastorale a S. Giovanni Bianco” (Sac. Goffredo Zanchi, op. cit.), onde ricevere le necessarie autorizzazioni ecclesiastiche.
Il 5 maggio 1861, il Vescovo, dopo essere stato “reso edotto tramite il verbale della vera dinamica dei fatti” (op. cit.), autorizzava la riparazione della reliquia, la quale si svolgeva secondo le modalità e le accortezze descritte nel seguente documento (rilasciato dallo stesso vescovo, l’8 maggio 1861): “Nel giorno 5 maggio 1861, sulla sera, in occasione della Visita Pastorale alla Chiesa di S. Giovanni Bianco, presenti il R. Canonico Penitenziere Giovanni Maria Bonaldi ed il Reverendo Sac. Samuele Viscardi, nostro Cappellano, D. Carlo Invernizzi, Prevosto, Federico Stefani, Sindaco del Comune, Andrea Torricella e Francesco Morali Fabbriceri, G. B. Canali e gli incaricati della festa e dell’altare della S. Spina. Tolta la stessa S. Spina dalla Pisside di cui sopra, dopo di avervi con gomma aggiunta la particella staccata colla massima venerazione, l’abbiamo riposta nella teca d’argento sì bellamente scolpita, e per l’occasione ristaurata, sotto un cristallo cilindrico, legandovela con un filo di seta di color rosso, assicurato con un suggello di cera di Spagna, pure di color rosso, segnandola col piccolo nostro timbro”.
Nonostante la cura nella riparazione, la reliquia conservò una sua intrinseca fragilità strutturale, richiedendo una “nuova riparazione il 7 aprile del 1889 seguendo le medesime modalità della volta precedente e alla presenza di Mons. Guindani” (op. cit.). Episodi storici ricostruibili sin nei minimi dettagli, in grado di offrirci una lettura preziosa circa la natura e la comprensione delle reliquie: oggetti che si danneggiano, si usurano, necessitanti cure e attenzioni, fragili e distruttibili. La reliquia non è un amuleto o un oggetto magico, una manifestazione soprannaturale slegata dal tempo dell’uomo. Non è nemmeno soltanto un articolo del passato, riguardante esclusivamente la sfera del sacro e del religioso. La reliquia è un soggetto vivente, una presenza che si offre nel presente, una testimonianza della vicinanza e dell’infinita tenerezza di quel mistero che non disdegna di fare propri i limiti della condizione umana.