Uomini e paesi, matrimoni e legami, incontri a tempo determinato destinati a durare istanti o anni, talvolta una vita intera. La storia ricostruisce e scava nelle genealogie di famiglia, studia i lasciti architettonici del tempo, si pone domande e interrogativi, circa tendenze antiche e moderne. Si tratta di metodo e di intendimento: abbracciare ciò che fu, ricostruirlo nelle sue fasi ed evoluzioni, onde orientare il passo e indirizzare lo sguardo. Non esiste futuro senza memoria del passato.
Un passato testimoniato da un’antica arteria che correva su sentieri d’acciaio, la perduta ferrovia della Val Brembana. Un ultimo tragitto, un approdo e una ripartenza, luogo di transito di uomini e di merci: “La stazione di Lenna la incontriamo al termine di un lungo viadotto in muratura ad otto luci. Qui si fondono in un unico fiume i due rami del Brembo: il Brembo d’Olmo e il Brembo di Fondra. L’ultima tratta della ferrata è impostata su di un lungo tornante che si sviluppa per quasi due chilometri in rilevato prima e poi in trincea. Un’ultima galleria ed eccoci a Piazza Brembana” (Testo di Chiara Oberti in Le ferrovie perdute. Immagini e ricordi nel cinquantesimo anniversario della chiusura delle ferrovie di Valle Brembana e di Valle Seriana, Dino Oberti, Equa Editrice).
Un’ora e diciassette minuti di viaggio che univano Bergamo a Piazza Brembana, il centro della vita economica e politica della provincia alle montagne della Valle Brembana, riducendo distanze sociali e culturali, creando opportunità e occasioni per molti. La stazione di Piazza Brembana, originariamente San Martino de’ Calvi Nord, inaugurata nel lontano 1926, in epoca fascista, venne definitivamente chiusa nel 1966, seguendo il triste epilogo dell’intera linea ferroviaria. Una conversione al trasporto su gomma che si sarebbe rivelato, negli anni a seguire, miope e costoso, condannando la Valle a una progressiva marginalizzazione territoriale. La stazione e la ferrovia viaggiarono, almeno per un certo periodo, lungo gli stessi binari dell’amministrazione cittadina, condividendo un destino comune di oblio e dimenticanza.
Il 10 agosto 1927, mentre prendeva corpo e vita il progetto di unire la Città dei Mille ai paesi montani limitrofi, un Regio Decreto (n. 1522) realizzava la fusione dei Comuni di Lenna, Moio de’ Calvi, Piazza Brembana e Valnegra, formalizzando la nascita del Comune di San Martino de’ Calvi, affidato inizialmente al governo di un podestà e, “in seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel 1946 […] amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio” (Comune di San Martino de’ Calvi, lombardiabeniculturali.it). La sede prescelta per l’esercizio delle funzioni e delle incombenze amministrative fu Piazza Brembana e “in tale occasione venne costruita la nuova sede comunale presso il Dosso di San Martino vicino alla parrocchiale, dove tuttora si trovano gli uffici del Comune” (provinciabergamasca.com).
Una storia quasi trentennale, conclusasi il 28 giugno 1956, mediante un Decreto del Presidente della Repubblica (n. 867) che ricostituì la situazione ante 1927. Scommettere su una nuova ferrovia e istituire il comune di San Martino de’ Calvi per creare una mentalità comune, uno stile di vita condiviso, favorendo la diffusione e la circolazione di idee e prassi, perseguendo quell’opera di centralizzazione e di statalizzazione fortemente voluta e auspicata dal regime dell’epoca. Un intento incentrato sui miti dell’efficienza dei servizi, del fare, del costruire, del creare occasioni di lavoro e di svago, il tutto finalizzato all’indottrinamento e all’acquisizione di un largo consenso popolare. Una libertà misurata a chilometri, lungo itinerari prestabiliti e rassicuranti. Opere e disposizioni che, per ovvie ragioni, non seppero sopravvivere a lungo all’indomani del nuovo corso repubblicano e democratico.
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