Sant’Antonio Abate a Brancilione, una tradizione che si rinnova con immutata devozione

La benedizione dei veicoli e degli animali, le case addobbate, la Santa Messa seguita dalla processione solenne, l'attesissima tombolata: un connubio di sacro e profano che si rinnova ogni anno, senza che traspaia segno alcuno di stanchezza e di disaffezione.
18 Gennaio 2024

Bransiù e il dì festivo, incontro memoriale tra genti e costumi, occasione per legare indissolubilmente passato e presente, muovendo da un luogo discreto, in grado, tuttavia, di incarnare quei valori e quelle speranze custodite e tramandate da intere generazioni. Un piccolo oratorio oggetto da sempre di contesa dedicatoria tra le figure di Sant’Antonio da Padova (1195-1231), religioso portoghese e dottore della Chiesa, oratore dottissimo, particolarmente rinomato per le sue capacità taumaturgiche, e dell’omonimo Abate (III sec.–356), “una delle più grandi figure dell’ascetismo cristiano primitivo, colui al quale si deve la diffusione di quel sistema di vita semi-anacoretico, di cui le laure orientali e taluni tipi di vita eremitica occidentale sono tuttora la continuazione” (A. Pincherle, R. Corso, Antonio Abate, Sant’, in Enciclopedia italiana (1929), Treccani.it).

Quest’ultimo, inoltre, viene venerato da secoli come difensore e aiutante durante le tribolazioni, vendicatore delle donne ingiustamente calunniate e confidente delle giovani. Una chiesetta rimasta identica a se stessa, nonostante un ampliamento del 1946 su autorizzazione della Curia, graziosamente assisa in seno a un territorio attraversato da significativi cambiamenti urbanistici e sociali: “Con occhio retrospettivo, attento cioè a cogliere la storia e l’evoluzione della struttura sociale, anche dal punto di vista urbanistico, rileviamo innanzitutto l’accentuata e forte trasformazione del volto fisico del luogo, avvenuta in tempi recenti” (Genti, contrade e soprannomi di Valle Imagna. Castignì de Sansimù, a cura di A. Carminati, con il contributo di Costantino Locatelli, Provincia di Bergamo, Bergamo, 1998).

La piccola frazione di un tempo non esiste più, avendo assunto progressivamente, con il trascorrere degli anni, contorni e profili, nonché perimetri, meno definiti e caratteristici: “In origine non c’era la località Brancilione nell’accezione di oggi, ma quattro nuclei (Ca’) ben distinti, ciascuno agganciato ad una propria fisionomia architettonica e portatore di una specifica esperienza parentale” (Op. cit.). Il progresso richiede spazio e terreno, annullando troppo spesso differenze e particolarità depositarie di ricchezze inestimabili. Nel caso specifico di Brancilione, “gli antichi nuclei sono sempre meno distinguibili ad occhio nudo ed inesperto, a causa di ristrutturazioni poco ortodosse e dell’incessante avanzamento delle nuove costruzioni, in un contesto di “continuum” edificato non sempre attento e rispettoso della cultura insediativa tradizionale” (Op. cit.). Il verde dei prati, il profumo dei campi, la presenza nobile e austera dei querceti e dei castagneti hanno ceduto il passo ai nuovi insediamenti, mutando il volto abitativo del luogo.

Al minuto edificio religioso sopracitato viene affidato un compito arduo, ma affascinante, cioè quello di narrare vicende storiche e agiografiche, di uomini e di santi, conservandone lo spirito più autentico e veritiero, tanto nel suo aprirsi al mondo quanto nella sua funzione di scrigno e custode di bellezze, tesori della comunità tutta. All’interno dello stesso “si distingue la cornice lignea dell’icona sopra l’unico altare, con una tela di Sant’Antonio da Padova e i donatori ai piedi, poi qualche quadretto ex voto e specialmente una tela laterale del Ceresa (op. cit.).

Una parte chiamata a testimoniare il tutto, un seme che divenuto albero non cessa di portare frutto. Un oratorio eretto verso la metà del 1600, come viene testimoniato da un’antica scritta (“A Sant’Antonio da Padova / perché non manchi/ la protezione della sua casa / questo vicino tempietto / Pietro Giovanni Locatelli / a proprie spese edificò /1663”) su una piccola lapide di marmo nero, murata nella parete interna di sinistra (Cfr. ibidem), quale voto e ringraziamento per “lo scampato pericolo della peste” (op. cit.) di manzoniana memoria, ma divenuto nei secoli a seguire anche un rifugio, per i molti emigranti, dove sostare per un momento di preghiera, prima di salutare le famiglie e la casa natale.

Tradizione e devozione, leggenda e folclore: ingredienti che animano il cuore delle celebrazioni tanto laiche quanto religiose, riducendo distanze e favorendo l’incontro tra antico e moderno, tra desideri e bisogni, tra timori e idee. Si rinnovano gesti benedicenti, si ripercorrono orme di epoche dimenticate, si riscopre se stessi nella gioia e nel divertimento, nella riflessione e nella lode, alzando i calici e gustando cibarie appetitose. La benedizione dei veicoli e degli animali, le case addobbate, la Santa Messa seguita dalla processione solenne, le grida di trionfo durante l’immancabile e attesissima tombolata, le luci che strappano minuti e ore all’imbrunire crepuscolare: un connubio originalissimo di sacro e profano che si rinnova ogni anno, senza che traspaia, o che s’intraveda, segno alcuno di stanchezza e di disaffezione.

IL PROGRAMMA DELLA FESTA DI QUEST’ANNO

locandina santantonio1 1 - La Voce delle Valli

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