Si sciolgono i ghiacciai, sulle Orobie affiorano tracce fossili di 280 milioni di anni fa

Sulle Orobie sono venute alla luce orme di anfibi e rettili risalenti a circa 280 milioni di anni fa.
14 Novembre 2024

I cambiamenti climatici, e il conseguente restringimento dei ghiacciai, fa riaffiorare scoperte a volte sensazionali. È il caso accaduto sulle Orobie, dove sono venute alla luce orme di anfibi e rettili risalenti a circa 280 milioni di anni fa. Ma non solo: sono state rinvenute anche piante, semi e gocce di pioggia fossilizzate.

La scoperta del ricchissimo sito paleontologico è avvenuta nel Comune di Piateda (Sondrio), al confine con l’Alta Val Brembana e l’Alta Val Seriana, nel crocevia fra Carona, Valbodione e Val d’Ambria, nell’area del Pizzo del Diavolo di Tenda.

La prima persona a imbattersi nelle “antiche orme” è stata un’escursionista di Lovere, Claudia Steffensen, lungo il sentiero della Val d’Ambria, a 1.700 metri di quota. Steffensen ha poi condiviso la scoperta con un amico fotografo, Elio Della Ferrera, che ha scattato alcune foto inviandole a Cristiano del Sasso, paleontologo del Museo di Storia naturale di Milano.

A quel punto, Ausonio Ronchi dell’Università di Pavia e Lorenzo Marchetti del Museo di Storia Naturale di Berlino hanno cominciato i primi sopralluoghi nell’estate del 2023, a 3000 metri di quota, portando alla luce centinaia di tracce fossili sulle pareti del Pizzo del Diavolo di Tenda, del Pizzo dell’Omo e del Pizzo Rondendino, oltre ad accumuli su frane sottostanti.

I primi reperti sono stati recuperati nei giorni scorsi in elicottero e mostrati, per la prima volta, al Museo di Storia Naturale di Milano. In futuro seguiranno altre operazioni simili.

“A quell’epoca i dinosauri non esistevano ancora, ma gli autori delle orme più grandi qui ritrovate dovevano avere dimensioni comunque ragguardevoli: fino a 2-3 metri di lunghezza”, spiega Dal Sasso.

“Le impronte sono state impresse quando queste arenarie e argilliti erano ancora sabbie e fanghi intrisi di acqua, ai margini di fiumi e laghi che periodicamente, secondo le stagioni, si prosciugavano – precisa Ronchi – Il sole estivo, seccando quelle superfici, le indurì al punto tale che il ritorno di nuova acqua non cancellava le orme ma, anzi, le ricopriva di nuova argilla formando uno strato protettivo”.

Fonte: La Repubblica
Foto: Elio Della Ferrera

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