Tumore al collo dell’utero: al Papa Giovanni test a RNA. Prima volta in Italia

Il prelievo di cellule del collo uterino nelle nostre valli verrà effettuato, a partire del 14 novembre, nei consultori di Villa d’Almé e di Sant’Omobono; e San Giovanni Bianco nell’ambulatorio ospedaliero.
8 Novembre 2022

All’interno del programma di screening che Regione Lombardia ha avviato per la prevenzione del tumore del collo dell’utero attraverso l’analisi del DNA, il Papa Giovanni di Bergamo ha introdotto la ricerca dell’infezione da Papilloma virus (HPV) attraverso test mai utilizzati prima in Italia, che si basano sull’analisi dell’RNA. La novità riguarderà nel primo anno circa 12.800 donne di 63 e 64 anni di età, residenti in provincia di Bergamo. L’affidabilità del test, in uso negli Stati Uniti e in altri otto Paesi, è stata di recente riconosciuta anche in Italia proprio su iniziativa dell’ospedale Papa Giovanni, che può così ottimizzare l’impiego di due potenti macchinari introdotti durante la lotta al coronavirus e utilizzati per l’analisi dell’RNA virale nei tamponi molecolari.

Il test a RNA consente di identificare l’mRNA di 14 ceppi di HPV ad alto rischio. Tredici studi clinici referenziati dimostrano che questo test assicura prestazioni cliniche simili a quelle di altri test HPV per lo screening primario del pre-tumore e tumore della cervice nei nove Paesi dove viene utilizzato (Cina, Canada, Francia, Messico, Inghilterra, Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti e Germania). Se si guarda alla capacità di individuare precocemente il virus, il test RNA HPV è equivalente come livello di affidabilità al test a DNA (sensibilità clinica del 90-100%). Il test ha un maggiore valore predittivo positivo, in quanto fornisce indicazioni più dettagliate sul rischio effettivo che il virus possa generare lesioni neoplastiche. Nulla cambia rispetto a DNA HPV test per quanto riguarda la modalità di prelievo delle cellule della cervice uterina.

La novità nasce da un’iniziativa di Andrea Gianatti, direttore del Dipartimento di Medicina di Laboratorio del Papa Giovanni XXIII. I laboratori dell’Unità di Microbiologia e virologia sono stati attrezzati durante la pandemia con due macchinari Panther che permettono, a regime, di processare oltre 1.000 tamponi molecolari al giorno alla ricerca del coronavirus, in maniera altamente efficiente ed automatizzata. I risultati dei più recenti studi clinici sui test mRNA HPV sono stati oggetto di un confronto questa estate tra Gianatti ed il Gruppo Italiano Screening del Cervicocarcinoma (GISCI) che fa parte dell’Osservatorio Nazionale sullo Screening (ONS), organismo riconosciuto come strumento tecnico per l’attuazione, la definizione delle modalità operative, il monitoraggio e la valutazione dei programmi di screening regionali e nazionali.

“Dalla crisi pandemica può nascere un’opportunità. L’RNA è entrato ormai nel linguaggio comune, quando parliamo di tamponi molecolari processati per la ricerca dell’RNA virale oppure di vaccini anti-Covid a RNA messaggero – fa notare Gianatti -. Come il nostro ospedale, anche altri centri hanno dovuto rafforzare la dotazione tecnologica e la diffusione delle competenze professionali per l’analisi dell’RNA. Oggi il know-how e queste risorse tecnologiche possono essere indirizzate alla realizzazione di programmi pubblici di screening, per il monitoraggio precoce della presenza e della pericolosità di un virus, certo diverso dal SARS-CoV-2, ma che produce effetti letali tra la popolazione femminile”.

Ottenuta l’autorizzazione dagli organismi nazionali, il Papa Giovanni ha ricevuto a fine luglio il sostegno e la validazione finale da parte della DG Welfare di Regione Lombardia per l’utilizzo dei test nel nuovo programma di screening. In tre mesi circa la macchina è stata messa in funzione. I dettagli tecnici sono stati messi a punto da Antonino Barbato della ICT – Information and Communication Technology e da Monica Corsini, dirigente dell’Unità Servizi e Logistica. I tecnici dell’Anatomia Patologica, coordinati da Anna Rita Lincesso, sono pronti a processare i prelievi dall’arrivo in laboratorio fino all’esecuzione del test molecolare per RNA.

Le destinatarie di questo primo anno della campagna di screening attraverso l’analisi dell’RNA nei laboratori del Papa Giovanni XXIII sono circa 12.800 donne residenti in tutta la provincia di Bergamo e nate nel 1958 o nel 1959. La campagna di screening prevede in aggiunta l’invito ad effettuare il tradizionale pap test per le donne nate nel 1997, che non risultino coperte dal vaccino contro l’HPV. Tutte le donne coinvolte della provincia stanno ricevendo in queste settimane da ATS Bergamo una lettera con i dettagli dell’appuntamento organizzati dalla azienda socio sanitaria di riferimento.

Dove farlo in Valle Brembana e Valle Imagna

Per quanto riguarda l’ASST Papa Giovanni XXIII, sono cinque le sedi in cui avverrà il prelievo di cellule del collo uterino, con inizio da lunedì 14 novembre: a Bergamo in ambulatorio all’ospedale Papa Giovanni e nel consultorio di Borgo Palazzo; nei consultori di Villa d’Almé e di Sant’Omobono; a San Giovanni Bianco nell’ambulatorio ospedaliero. Il prelievo viene effettuato da personale ostetrico appositamente addestrato. Patrizia Ghilardi, responsabile del Dipartimento materno-infantile e pediatrico per la Direzione delle Professioni sanitarie e Sociali, ha curato gli aspetti organizzativi e formativi teorico-pratici del personale ostetrico coinvolto. In caso di positività al test la donna riceverà al telefono la convocazione per esami di approfondimento.

“Siamo orgogliosi di offrire un contributo a un programma di screening rivolto alle donne a rischio potenziale di tumore – è il commento di Maria Beatrice Stasi, direttore generale dell’ASST Papa Giovanni XXIII –. Sono convinta che la lezione della pandemia abbia dato un forte impulso alle nostre capacità di flessibilità e di innovazione, che oggi, nel post-pandemia, agevolano l’introduzione di protocolli di prevenzione avanzati come questo, avviando i primi test in tempo record”.

In Italia il carcinoma della cervice uterina rappresenta il quinto tumore per frequenza nelle donne sotto i 50 anni di età. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è pari a circa il 68%. I test di screening consentono la prevenzione del carcinoma o di individuare le infezioni persistenti dei ceppi di virus che provocano il tumore, consentendo la diagnosi precoce.

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