Yulia e la sua famiglia tra le montagne della Valle Imagna per fuggire dalle bombe di Putin

Yulia, 37 anni, è scappata dal suo paese natale insieme alla figlia undicenne, la sorella, la nipote e una parente con la figlioletta di cinque anni. Lassù, fra le montagne di Roncola, non si sentono gli spari, né le esplosioni, non ci sono sirene.
18 Marzo 2022

Yulia ha 37 anni (la ragazza a sinistra nella foto d’apertura, mentre prepara dei ravioli). Insieme alla famiglia vive a Vinnycja, una cittadina nel centro dell’Ucraina, non lontano dalla capitale Kiev. Conduce una vita normale: fa la manager di un negozio, il marito è impegnato in una ditta di costruzioni, mentre la figlia di undici anni Alina frequenta la scuola insieme ai suoi coetanei. Poi, un giorno, dal cielo piovono le prime bombe. E da quel 24 febbraio la loro vita cambia, per sempre. Questa la storia di una delle profughe ucraine ospitate presso la casa parrocchiale di Roncola. Lassù, fra le montagne, non si sentono gli spari, né le esplosioni, non ci sono sirene.

Yulia e la figlia, insieme alla sorella, la nipote e una parente con la figlioletta di cinque anni appena, sono arrivate in Valle Imagna lo scorso sabato dopo uno sfiancante viaggio “della speranza”, lungo oltre 48 ore per fuggire dalla propria città natale e dagli orrori della guerra. Là, in Ucraina, hanno lasciato tutto. La casa, la scuola. Yulia ha dovuto salutare anche il marito, richiamato dall’esercito e dunque non autorizzato a lasciare il paese.

“Abbiamo preso un pullman a Ternopil’ – racconta la donna –. Giunti alla frontiera polacca, siamo rimasti fermi 12 ore per tutti i controlli del caso. Ovviamente dovevano verificare tutti i documenti, che non vi fossero uomini a bordo e dove eravamo diretti. Ci hanno dato una zuppa calda, patate. C’erano tantissime persone che attraversavano la frontiera, chi a piedi, chi con carrozzine e passeggini, tanti i bambini. A tutti veniva dato qualcosa di caldo da mangiare e prodotti di necessità, come pannolini. Dalla Polonia abbiamo viaggiato fino in Italia: qui abbiamo effettuato nuovi controlli”.

Poi l’arrivo a Dalmine, dove Maurizio – un amico di Don Andrea Pedretti, parroco del paese – le ha portate fino a Roncola. Qui donne e bambine vivono al terzo piano della casa parrocchiale, uno spazio di 200 mq circa, mentre al piano terra è stata allestita una stanza “internet” per consentire alle piccole di proseguire gli studi in didattica a distanza. A metterle a conoscenza dell’ospitalità di Don Andrea una zia che vive a Milano, dopo aver letto l’annuncio pubblicato sui giornali locali.

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Un dramma, quello della guerra, che non trova spiegazione razionale. “Putin ha invaso l’Ucraina e pensava in tre giorni di cavarsela – sono le parole, dure, di Yulia –. Perché ha attaccato il nostro Paese? Penso perché l’economia russa sia in forte difficoltà in questo momento e abbia deciso così di distruggere anche quella ucraina. Sono state bombardate e distrutte 600 scuole in tutto il Paese. Senza contare gli ospedali, i palazzi, le fabbriche, gli aeroporti, non ci sono più strade. Sta cercando di distruggere il popolo ucraino”.

Un dramma raccontato con la resilienza di un popolo che resiste. Una forza unica che si legge negli occhi e traspare da ogni parola di Yulia quando parla della sua gente, della sua terra. “Sappiamo unirci ed essere forti quando è necessario – spiega – Ci aiutiamo tantissimo l’uno con l’altro nei momenti di difficoltà. Ogni volta che i soldati russi arrivano in una nuova città per occuparla, i suoi abitanti anche se non armati fanno un cordone e cercano di bloccare la strada ai carri armati. Con ogni briciolo della propria forza, il nostro popolo sta cercando di difendere il paese”. Da quando sono arrivate a Roncola, la comunità ha accolto con estrema generosità Yulia e la sua famiglia, donando beni di qualsiasi tipo affinché si sentissero a casa.

“La generosità è veramente qualcosa di straordinario. Loro sono persone esattamente come noi, che prese dalla paura della guerra sono scappate – spiega Don Andrea –. Vivevano una vita normale e hanno perso tutto. Sono state accolte con grande affetto, sono molto grate di quanto hanno ricevuto e cercano di contraccambiare in tutti i modi. Perché è importante accogliere, come stiamo facendo noi e tanti altri? Perché mi metto dall’altra parte e penso che, se fosse successo a me, vorrei che qualcuno mi accogliesse. In un modo davvero bello, semplice, senza troppe pretese, facendo sentire a casa queste persone che hanno affrontato problemi e difficoltà. L’accoglienza è fondamentale, così come è fondamentale darle visibilità: solo in questo modo le persone si accorgono che possono farlo anche loro”.

Il pensiero di Yulia, però, è rivolto sempre a casa. E il desiderio più grande è, ovviamente, quello di tornare il prima possibile nella loro terra, riprendere le loro vite, ricominciare a lavorare e ricostruire tutto ciò che è stato distrutto. “Vogliamo ringraziare immensamente Don Andrea, che ogni giorno cerca di esaudire ogni nostro desiderio e ha fatto in modo che potessimo sentirci a casa, ad esempio aumentando la portata della connessione di rete per permettere alle nostre figlie di continuare a studiare – conclude –.  Speriamo che tutto finisca presto. Qui siamo state accolte con tantissima generosità e affetto, siamo state coccolate dalla comunità a cui siamo grate. Ma la casa è sempre la casa”. Niente da aggiungere. Se non un forte, orgoglioso “Slava Ukraini”.

370e15c7 a59b 44f4 833f 52ba00cba1fa - La Voce delle ValliDon Andrea Pedretti con in compagnia delle ospiti ucraine durante una cena

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